Se la Cina è notoriamente divenuta la "fabbrica del mondo" nell'arco degli ultimi vent'anni, con un incidenza del settore manifatturiero sul PIL pari al 34% (dati 2009), anche l'Italia mantiene un'analoga vocazione: il 16% del valore aggiunto sul totale del PIL italiano è di origine manifatturiera, la seconda percentuale più alta tra le economie europee più avanzate, dopo la Germania (19%). Questa produzione gioca un ruolo fondamentale: se l'export manifatturiero cinese ha superato quello tedesco per ottenere il primato mondiale nel 2009 (9,6% sul totale), l'Italia rimane in settima posizione (3,2%) e si conferma nel 2010 il terzo Stato europeo per esportazioni extra UE (10,7% del totale dell'Unione). Per la grande maggioranza, non si tratta di esportazioni ad alto contenuto tecnologico: nel 2009 soltanto l'8% dell'export italiano poteva essere così qualificato, una proporzione eccezionalmente piccola rispetto alla media dei paesi OCSE. Nell'ultimo trentennio, l'Italia ha seguito una traiettoria anomala tra i Paesi avanzati: anziché facilitare una transizione verso nuove produzioni ad alta intensità di tecnologia e capitale umano mediante investimenti in ricerca e sviluppo, l'economia nazionale ha per lo più continuato a specializzarsi nei settori merceologici tradizionali.

3. Dati simili presupposti, era inevitabile l'instaurarsi di una precoce dinamica competitiva, con conseguente spiazzamento delle imprese italiane. Specie dopo il suo ingresso nell'Organizzazione Mondiale del Commercio (2001), la RPC ha radicalmente mutato le dinamiche commerciali globali, a partire da settori ad alta intensità di manodopera poco specializzata. L'effetto è stato un netto calo prima del valore (anni '90) e poi dei volumi (prima metà degli anni '2000) delle esportazioni manifatturiere italiane. La pressione dell'export cinese è stata percepita in tutto l'arco dei settori tradizionali portanti della produzione italiana: tra il 2001 e il 2010 la quota di mercato italiana del settore tessile è calata dall'8,70% al 6,62% (a fronte di una crescita cinese dal 18,62% al 36,74%), in quello del mobilio è scesa dal 14,71% all'8,78% (contro un incremento cinese dal 7,82% al 28,32%), in quello della meccanica è passata dal 6,97 al 6,33 (rispetto all'aumento cinese dal 3,92 all'11,02). Nel complesso, la pressione concorrenziale delle merci cinesi è significativa in tutti i mercati della zona OCSE e in quelli dei paesi emergenti, l'insieme dei quali costituisce la destinazione di circa l'85% delle esportazioni italiane.

Questa dinamica competitiva è caratterizzata da una asimmetria strutturale. I principali elementi che la costituiscono sono la diversa flessibilità della politica monetaria (finalizzata al controllo dell'inflazione in Europa, alla crescita in Cina); la struttura disomogenea dei vantaggi comparati nella produzione (basti pensare ai diversi costi dei fattori di produzione in Cina rispetto all'Italia); la differente prassi di governance delle imprese (sovente controllate dallo Stato in Cina, con conseguente alterazione dei meccanismi di accesso al credito, responsabilità legale, ecc).