Ma - a quanto pare - è arrivato fuori tempo limite, quando quello che resta del suo partito dentro il Pdl si è accoccolato in tante e comode poltrone, ben consapevole che lo deve soprattutto alla forza trainante di Berlusconi. Adesso, quelli che erano i suoi «colonnelli» - secondo una terminologia militare - gli hanno girato quasi tutti le spalle. Lo avevano già fatto nella famosa registrazione carpita in un caffè romano dalle parti di Palazzo Chigi. A quei tempi, però, Fini li aveva strapazzati rudemente, mentre adesso - a torto o a ragione - si dissociano, si allontanano, distinguono o più semplicemente «tradiscono». Tutto normale per la politica italiana? Solo in parte. Ci dovrebbe essere, infatti, ancora una bella differenza tra Clemente Mastella, che saltella di qua e di là e rimane sempre a galla, e gli ex missini. La «vecchia» Alleanza nazionale nata a Fiuggi nel gennaio 1994 sulle ceneri del Msi, piacesse o meno, aveva un che di antico, aveva ancora il culto del capo, il senso della militanza, si sentivano reduci sconfitti che non cedevano le armi; avevano ancora - piacesse o meno - il «senso dell'onore», di chi si spezza ma non si piega, di quelli che sanno che un ordine, se viene dall'alto, va eseguito. Poi è arrivata la politica post-moderna, ricca, imprevedibile e televisiva, che li ha portati al potere. Fini compreso. Fini, però, prima o dopo vorrebbe diventare il leader di una destra laica, moderna ed europea, anche se probabilmente non ci riuscirà mai. Così ha rotto gli indugi, ha detto con chiarezza quello che pensava (lo aveva già fatto nel discorso di fondazione del Pdl) e ha richiamato all'ordine i suoi presunti «fedelissimi». Ma le cose non stanno più così. La nuova (e così vecchia) politica ha preso il sopravvento: il calcolo, la poltrona, la comoda appartenenza alla casta, il suv di fabbricazione italo-russa (praticamente post-sovietico) che Berlusconi ha regalato a La Russa poche ore dopo la direzione nazionale del Pdl, non si possono cancellare per vecchie nostalgie. Ma chi ha «tradito» chi? Ha «tradito» Fini? Probabilmente no, perché non è mai stato «amico» di Berlusconi, i suoi rapporti sono sempre stati abbastanza chiari (basta ricordare le «comiche finali» del dicembre 2007): politici, freddi, di programma e di convenienza. Sono dei «traditori» gli ex colonnelli di Fini, immortalati in una vecchia foto degli anni Settanta, ora ministri del governo Berlusconi? Probabilmente no, se non venissero dalla storia del Msi, da quelle memorie condivise che in privato e qualche volta anche in pubblico continuano a coltivare. Forse non hanno tutti i torti a voltare le spalle al loro ex capo, che li ha gettati nell'ampio e generoso grembo di Berlusconi, ma probabilmente in cuor loro, dietro alle macchine blu, ai lussuosi uffici istituzionali, ai salotti televisivi, un po' si vergognano. Non sono stati allevati nel culto della fedeltà? Non si identificano - appena possono - con i carabinieri «usi ad obbedir tacendo», un po' marines (semper fideles) e un po' gesuiti (perinde ac cadaver, docili come cadaveri)? Tanto di cappello, quindi, a quel manipolo che - forse sbagliando - ha deciso di restare a fianco del loro capo (da quelle parti un vero capo non diventa mai ex) per un obsoleto senso dell'onore, forse della disciplina, forse di fedeltà a una antica amicizia, che non diventa mai «scomoda». Forse Gianfranco Fini, che vorrebbe una destra laica, moderna ed europea, ha torto, ma quel La Russa che se ne andrà in giro con un suv post-sovietico regalatogli da Berlusconi ha davvero ragione? |
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