Barack Obama voleva fare il colpaccio entro l’estate, ma il Congresso, il «suo» Congresso a schiacciante maggioranza democratica, l’ha tradito: un accordo di massima sulla riforma della sanità non sarà possibile entro agosto (1), come sperava il presidente, si dovrà attendere l’autunno. La maledizione della health care – che già causò parecchi problemi a Clinton ai tempi del primo mandato (2) e ancor prima turbò anche la presidenza Reagan (3) – ha colpito anche Obama, che scende sotto il 50% del consenso degli americani proprio a causa della riforma (4).
Il primo problema è stato affrontato astutamente dal presidente in una conferenza stampa a metà settimana: Obama ha infatti lasciato scivolare via il concetto di riforma sanitaria – che si porta dietro una serie di spettri invisi agli americani – introducendo un più blando progetto di «riforma per i non assicurati». Il dettaglio è importante: già lo «Hillarycare», come era chiamata la riforma clintoniana del 1993, era fallito proprio perché i già assicurati temevano che, con un’estensione della copertura, avrebbero potuto perdere parte delle garanzie. Banalmente: tutti coperti, ma tutti meno coperti. Introducendo l’idea che si sta lavorando soltanto a favore di chi una copertura non ce l’ha, Obama ha lasciato intendere – cosa comunque non certa – che gli assicurati non saranno «toccati».
Secondo problema: come si finanzia una riforma da mille miliardi di dollari avendo i conti dello stato già parecchio dissestati? Obama garantisce: non c’è da preoccuparsi, la riforma è «deficit neutral», si finanzia da sola e non ha alcun impatto sul bilancio federale. La manovra cioè si ripagherebbe per circa metà del suo valore attraverso le tasse imposte ai ricchissimi (sopra i 500 mila dollari per gli individui o un milione di dollari per i nuclei familiari) e per la restante metà attraverso una razionalizzazione dei costi dei programmi sanitari. Sulle tasse si è scatenato ovviamente un inferno: la curva di Laffer sostiene che tassando i più ricchi non si ottiene l’extragettito sperato, quindi con buona probabilità le tasse dovranno essere innalzate anche alla middle class, cosa che Obama in campagna elettorale aveva escluso.
La questione della razionalizzazione dei costi dei programmi sanitari è ancora più complicata: si basa infatti sull’assunto che sul sistema sanitario siano praticabili una serie di tagli nei trattamenti e l’introduzione della «meritocrazia nelle diagnosi» (cioè, l’operato dei medici sarebbe valutato stando a quanti pazienti ritornano nel giro del mese successivo alla cura: meno sono, più bravo è il medico) e in generale nelle strutture ospedaliere. Sulla carta, le sacche di inefficienza sono molte, ma che la loro eliminazione sia in grado di generare un risparmio tale da coprire l’estensione della copertura è una scommessa cui, al momento, credono soltanto alcuni democratici.
Per non rischiare di fallire prima ancora di cominciare, gli sherpa di Obama, primo fra tutti il più bravo della classe, Peter Orszag, e i lobbisti stanno cercando di far quadrare i conti aiutandosi con accordi con le case farmaceutiche e gli ospedali. Ma pesa sulla Casa Bianca il verdetto del Cbo, il comitato bipartisan per il bilancio: la riforma è costosissima e il governo dovrà spenderci almeno 300 miliardi di dollari. Almeno.
(1) http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2009/07/23/AR2009072303929.html?hpid=topnews
(3) http://www.nytimes.com/1981/02/24/us/governor-s-oppose-reagan-on-medicaid.html
(4) http://www.usatoday.com/news/washington/2009-07-20-obama-poll-economy_N.htm
(5) http://www.newyorker.com/online/blogs/newsdesk/2009/04/george-w-bush-library-orszag-anticharity.html
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