Dal secondo dopoguerra, la disoccupazione negli Stati Uniti, che aumentava durante le fasi di recessione, era solitamente assorbita in meno di un anno grazie alla ripresa. Poi, dal 1990, i tempi si sono allungati: a due anni dopo il 1990, a tre anni dopo il 2000. Oggi siamo già a tre anni da quando è apparsa la recessione e mancano ancora 7 milioni di posti di lavoro rispetto al livello di occupazione precedente la crisi, ma ne mancano 11 se teniamo conto di quanti posti di lavoro ci sarebbero stati se la crisi non fosse apparsa (1).


Negli Stati Uniti, alcuni affermano che le multinazionali licenziano nella madrepatria e assumono all’estero. La conseguenza è che l’occupazione non cresce, nonostante il deficit pubblico e i tassi di interesse ai minimi termini.

Guardando i numeri (2), il sistema industriale americano ha ridotto l’occupazione nella madrepatria di circa 2 milioni di persone e ha assunto più di 2 milioni di persone all’estero. Andando a guardare meglio, la crescita dell’occupazione all’estero è soprattutto legata ai settori dove le multinazionali non potevano non assumere lavoratori locali. Se una catena di negozi per l’abbigliamento o di alimentari apre all’estero assumerà soprattutto lavoratori di quei paesi.

Dunque la modesta capacità di creare posti di lavori non è attribuibile semplicemente alle multinazionali che licenziano qui e assumono lì. C’è qualche cosa d’altro? Un’ipotesi è che non nascono, numerose come in passato, le piccole imprese. Perché mai oggi ne nascano poche è argomento complicato (3). In Italia, diremmo che le imprese non sorgono numerose per colpa della burocrazia, indicando il sistema statunitense come esempio per la nascita facile delle imprese. Ma gli statunitensi chi debbono indicare come esempio?


(1) http://krugman.blogs.nytimes.com/2011/05/06/jobs-report-the-age-of-diminished-expectations/


(2) http://economistsview.typepad.com/economistsview/2011/05/is-offshoring-behind-us-employments-current-problems.html


(3) http://blog.atimes.net/?p=1708

Articolo pubblicato anche su:

http://www.linkiesta.it/blogs/economista-greco/l-occupazione-ingessata