Quali sono i principali strumenti finanziari da monitorare nel complesso scenario attuale?

Il 2020 sui mercati finanziari è iniziato all’insegna dei venti di guerra fra Stati Uniti ed Iran. L’attacco statunitense che ha portato all’uccisione del generale Qasem Soleimani (3 gennaio) e la conseguente reazione iraniana hanno infatti infiammato le prime sedute di borsa del nuovo anno, spingendo l’oro ai massimi da 7 anni e generando una certa volatilità sul petrolio. Lo scenario, però, è cambiato piuttosto rapidamente, con un allentamento della tensione su questo fronte, mentre i mercati celebravano la conclusione delle trattative per la fase 1 dell’accordo commerciale fra Stati Uniti e Cina, senza prestare troppe attenzioni alle difficoltà che potrebbero subentrare nelle successive fasi.

Almeno nel breve termine i rischi sembrano dunque sopiti, ma il contesto generale resta particolarmente complesso. All’orizzonte, infatti, troviamo spinose questioni come il dibattito legato al possibile impeachment del Presidente Trump, le vicende libiche e la misteriosa influenza cinese, che sta generando apprensione sui mercati.
Quali sono dunque i principali strumenti finanziari da monitorare in questo scenario?
Partiamo dall’oro che, come accennato, ha iniziato il 2020 da protagonista (Figura 1). Il prezzo del metallo giallo è salito ai massimi da sette anni nella sua quotazione in dollari, superando la soglia dei 1.600 dollari. il prezzo del lingotto, nella sua denominazione in euro, ha invece raggiunto i massimi storici, arrivando oltre i 45 euro al grammo. Il calo della tensione internazionale ha frenato la corsa all’acquisto degli operatori, che si sono mossi nuovamente verso strumenti maggiormente risk-on, ossia con una maggiore propensione al rischio, anche se il prezzo è rimasto sopra la soglia psicologica dei 1.500 dollari l’oncia.

La salita dell’oro, però, trova basi più solide: infatti già dal finire del 2018 stiamo assistendo ad una progressiva ripresa dei prezzi (Figura 2), poi proseguita nel 2019, anno in cui il prezioso ha recuperato quasi 20 punti percentuali. A spingere al rialzo le quotazioni sono state anche le politiche monetarie delle banche centrali, ultra-espansive in questi ultimi anni, ma anche le aspettative per tassi ancora bassi in futuro. Infatti, la BCE, la Fed e le principali banche centrali verosimilmente manterranno i tassi bassi per un tempo significativo, iniettando liquidità sui mercati.
La quantità di denaro in circolazione resterà elevata, mentre la quantità di oro cresce ad un passo molto lento, determinato dalle nuove estrazioni da miniera. Sempre a proposito delle ragioni della ripresa aurea, non vanno poi dimenticati gli ingenti acquisti effettuati dalle banche centrali, per un volume che nel 2019 si è assestato ai massimi da mezzo secolo, oltre le 650 tonnellate.

Un’altra materia prima da seguire con attenzione è sicuramente il petrolio. Dopo il crollo registrato sul finire del 2018, quando i prezzi scesero nuovamente a ridosso dei 40 dollari al barile, il 2019 è stato all’insegna del recupero, con il prezzo del WTI, punto di riferimento per il petrolio americano, stabilmente sopra i 50 dollari al barile, fino a una chiusura di annata sopra quota 60$. Alla base del recupero del petrolio troviamo una serie di fattori fondamentali e macroeconomici, riassumibili con il crescente ottimismo per il possibile accordo fra Cina e Usa (concretizzatosi come detto a metà gennaio con la chiusura dei negoziati per fase 1), ma anche per i tagli superiori alle attese decisi dall’OPEC+, il cartello allargato dei paesi produttori, nel meeting del 5/6 dicembre 2019 a Vienna.

Sul fronte dei cambi, il 2019 è stato caratterizzato da una volatilità contenuta su numerose coppie valutarie. Fra queste spicca senz’altro l’euro/dollaro (Figura 3), con dei movimenti nettamente inferiori rispetto alle medie storiche e una fluttuazione annuale contenuta fra 1,09 e 1,15. Nel complesso la tendenza di fondo pare ancora positiva per il dollaro, anche se l’area 1,09 ha respinto al rialzo le quotazioni, che appaiono ingabbiate fra 1,10 e 1,12, in attesa di nuovi spunti direzionali.
La volatilità è invece risultata superiore sulle coppie contenenti la sterlina. Nei primi mesi della presidenza di Boris Johnson gli operatori hanno progressivamente acquistato la divisa di Sua Maestà, salvo poi alleggerire le posizioni dopo le elezioni del 12 dicembre scorso. Gli entusiasmi iniziali verso il pound sono dunque scemati in attesa di progressi concreti nei negoziati, che si annunciano serrati per tutto il 2020. Dal punto di vista operativo GBP/USD naviga in area 1,30 (Figura 4), mentre il cambio fra euro e sterlina pare cercare un equilibrio in area 0,85/0,86.

Lo scenario di risk-on, ossia di propensione al rischio da parte degli investitori, ha ridato ossigeno alle valute oceaniche. Dopo una lunga discesa, nel dicembre 2019 si è visto un timido segnale di ripresa, con il dollaro australiano risalito da 0,67 a 0,70 nei confronti del dollaro americano (Figura 5). La ripresa si è arrestata nel mese di gennaio, sulla scia dei timori per un possibile taglio dei tassi da parte della banca centrale australiana, per fronteggiare il rallentamento economico che potrebbe arrivare dai disastrosi incendi che hanno colpito il paese ad inizio 2020. Lo scenario è relativamente simile per il dollaro neozelandese, che ha guadagnato terreno arrivando a 0,675 contro la banconota verde nel mese di dicembre 2019, provando anche in questo caso un difficile tentativo di inversione dopo anni di discesa.

Non possiamo dimenticare i mercati azionari, in particolare quelli americani, protagonisti in questi ultimi anni del più lungo trend rialzista dell’ultimo secolo. A livello generale, i principali listini indici di borsa hanno iniziato il 2020 ancora con un’impostazione rialzista, che ha spinto il Dow Jones verso i nuovi record storici, oltre i 29.000 punti. Anche il NASDAQ, l’indice del settore tecnologico americano (Figura 6) resta inserito in un trend rialzista ed ha siglato nuovi massimi storici oltre i 9.000 punti.
A Milano, il FTSE Mib (Figura 7) è tornato nuovamente a testare i 24.000 punti, area che in passato (in particolare nel 2015 e nel 2018) si è opposta alla salita dei prezzi. Piazza Affari è stata trascinata nella rimonta dal buon andamento degli altri indici, ma anche da uno spread su valori decisamente contenuti, che ha ridato fiato al settore bancario.
A proposito di volatilità possiamo infine segnalare come l’indice Vix, anche detto "indice della paura" (stima la volatilità implicita delle operazioni sullo S&P 500), si trovi in acque tranquille, non lasciando quindi presagire nessuna imminente tempesta, anche se le sorprese sui mercati sono dietro l’angolo.