La situazione in Libia resta tesa e di non facile risoluzione. A fronte della cronica instabilità in cui è sprofondato il Paese nordafricano, vi sono però da registrare alcuni elementi positivi
La situazione in Libia resta tesa e di non facile risoluzione. A fronte della cronica instabilità in cui è sprofondato il Paese nordafricano, vi sono però da registrare due elementi positivi all’interno del quadro complessivo. Da un lato, il cessate il fuoco negoziato dall'UNSMIL (la missione di supporto dell'ONU per la Libia) che sembra reggere: la tregua raggiunta a fine settembre ha infatti interrotto una serie di violenti scontri fra milizie rivali che a partire dalla fine di agosto ha interessato la periferia meridionale della capitale Tripoli, causando oltre 117 morti e 400 feriti; dall’altro, la conferenza di pace tenutasi a Palermo il 12 e il 13 novembre 2018 che, pur non prevedendo fin dall’inizio la firma di alcun documento finale, ha rappresentato il primo passo verso un dialogo finora inesistente ed è stata ufficialmente riconosciuta come un successo dall’ONU
La storia recente
L’attuale contesto di grande criticità in cui versa la Libia è conseguenza della guerra civile del 2011: la deposizione e la successiva uccisione del colonnello Mu'ammar Gheddafi (leader incontrastato e guida del Paese per oltre 42 anni), avvenute grazie al decisivo intervento militare della NATO a supporto dei ribelli, ha di fatto causato il crollo del regime dell’ex Raìs e chiuso un capitolo tribolato della storia del Paese, già di per sé caratterizzato dalla presenza di diverse etnie e gruppi tribali (Figura 1). Deposto Gheddafi, l'unità delle forze ribelli è però venuta meno e la Libia è rimasta sotto il controllo di numerose milizie, mentre i Governi che si sono succeduti si sono rivelati troppo deboli per esercitare un reale controllo su tutto il territorio nazionale.
La situazione è precipitata ulteriormente nel 2014 con lo scoppio di una seconda guerra civile, a seguito del rifiuto del Parlamento di Tripoli, dominato dagli islamisti, di indire nuove elezioni. E’ stato proprio quest’ultimo evento a indurre il generale Khalifa Haftar (il quale aveva già servito sotto il precedente regime di Gheddafi, salvo poi diventare suo nemico) a lanciare l'Operazione Dignità, vasta offensiva terrestre ed aerea contro tutte le forze islamiste in Libia, con l’obiettivo di costringere il Parlamento a concedere il voto. Le elezioni che si tennero nel giugno dello stesso anno pur caratterizzate da un'affluenza molto bassa, sancirono l'affermazione di forze laiche e progressiste; tuttavia, la Corte Suprema rifiutò di riconoscere la validità del voto e così il nuovo Parlamento si rifugiò a Tobruk, citta portuale nell'est del Paese situata nella regione della Cirenaica, mentre a Tripoli fu invece prorogato il mandato del Parlamento uscente. Da allora la Libia si è di fatto divisa tra la Tripolitania ad ovest e la Cirenaica a est, mentre la parte meridionale del paese, largamente desertica, è caduta in mano a milizie tribali (Figura 2).
Nel dicembre del 2015 alcuni membri dei due Parlamenti rivali hanno raggiunto un accordo che ha portato alla creazione del cosiddetto Governo di Accordo Nazionale della Libia, guidato da Fayez Al-Serraj, che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu si è affrettato a riconoscere come legittimo Governo di unità nazionale, nonostante l'accordo non sia mai stato effettivamente ratificato dai due Parlamenti rivali.
Un quadro complesso con diversi attori in gioco
Haftar, che non ha mai riconosciuto il nuovo Governo e nel frattempo è divenuto capo delle milizie fedeli al Parlamento di Tobruk, è oggi inviso agli Stati Uniti dopo una lunga amicizia ed è considerato ormai da Washington come il maggiore ostacolo alla pacificazione della Libia. Il generale gode però del pieno sostegno dell'Egitto del presidente Al-Sisi, interessato a limitare l'influenza dei Fratelli Musulmani e degli altri movimenti islamisti in Nord Africa. Haftar vanta inoltre buoni rapporti con la Francia, interessata allo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e di gas in Cirenaica: i buoni rapporti di Parigi con Haftar hanno recentemente suscitato l'irritazione dell'amministrazione Trump, che a luglio ha spinto per la nomina della diplomatica americana Stephanie Williams come vice di Ghassan Salamé alla guida della missione Onu in Libia.
Proprio a Parigi nel maggio di quest'anno il primo ministro Al-Serraj ha incontrato il generale Haftar e insieme hanno concordato di fissare elezioni politiche e presidenziali per il mese di dicembre: si è trattato però di una decisione accolta con grande scetticismo dalla comunità internazionale per la difficoltà di tenere elezioni in un così breve termine, in un contesto tanto caotico e frammentato. Non a caso, le elezioni sembrano destinate a saltare dopo la bocciatura delle Nazioni Unite.
Tuttavia, nonostante il supporto della comunità internazionale, il Primo Ministro Al-Serraj continua a essere in gravi difficoltà tanto da essere stato costretto ad un rimpasto di Governo: nel tentativo di ampliare il sostegno al suo esecutivo, il 7 ottobre è intervenuto infatti su vari ministeri chiave come Economia e Industria, Finanze e Interno. Particolari polemiche ha suscitato la nomina come Ministro dell'Economia di Ali Al-Essawi (originario di Bengasi, città sotto il controllo di Haftar), il quale già aveva ricoperto la stessa posizione durante il regime di Gheddafi, mentre Ministro dell'Interno è stato nominato il potente deputato di Misurata (seconda città della Tripolitania), Fathi Bashagha, nel tentativo di assicurare al Governo il sostegno delle milizie a lui fedeli.
L’importanza della Libia per l’Italia e la Conferenza di Palermo
Roma ritiene indispensabile la stabilizzazione della Libia per due motivi principali: la tutela dei propri interessi energetici, assieme a quelli del gigante Eni (Figura 3), e la limitazione dei flussi migratori verso le coste italiane (Figura 4).
Nel caos seguito alla deposizione di Gheddafi, la Libia è divenuta infatti lo snodo principale per i flussi di migranti dall'Africa all'Europa e in particolare verso l'Italia. Questa situazione aveva spinto già il governo Gentiloni a raggiungere un accordo con i libici, per addestrare e fornire mezzi alla guardia costiera libica: l'accordo ha contribuito a ridurre significativamente il numero di migranti sbarcati sulle coste italiane, ma il nuovo Governo italiano guidato da Movimento 5 Stelle e Lega è intenzionato a ridurre ulteriormente i flussi e per farlo ha necessità di avere un interlocutore stabile.
La Libia, che da un punto di vista economico ha risentito pesantemente degli accadimenti di questi ultimi anni (Figura 5 ), è il secondo produttore di petrolio del continente africano e possiede inoltre considerevoli riserve di gas naturale (Figura 6); a fronte di queste importanti risorse naturali il numero di abitanti, stimato intorno ai 6 milioni, è però relativamente basso, motivo per cui la Libia ha dovuto importare manodopera dai paesi vicini sin dai tempi di Gheddafi. Secondo i dati riportati ad ottobre dall'Organizzazione internazionale delle migrazioni, sono circa 700.000 gli stranieri presenti sul territorio libico, con 41 nazionalità diverse: i gruppi più numerosi provengono da Niger, Egitto, Chad, Sudan e Nigeria e vi sono, inoltre, circa 8.000 migranti trattenuti in 18 centri di detenzione in Tripolitania.
L'Italia ha fortissimi interessi nel settore energetico: a conferma del ruolo strategico giocato dalla Libia per Roma, l'8 ottobre a Londra i vertici dell'Eni, insieme a quelli della britannica British Petroleum e della National Oil Corporation libica, hanno firmato una lettera d'intenti che porta a incrementare fino al 42.5% la quota dell'Eni nell'EPSA (Exploration and Production Sharing Agreement), gestito dalla British Petroleum, al fine di promuovere l'attività di esplorazione e sfruttamento di nuovi giacimenti di idrocarburi nel paese nordafricano (Figura 7 e Figura 8).
Si capisce bene quindi quanto importante sia la stabilizzazione della Libia per il Governo italiano: proprio per questo motivo Roma si è fatta promotrice dell’organizzazione della conferenza di pace per la Libia a Palermo, ben accolta fin dal primo momento dal Primo Ministro libico Al-Serraj.
La diplomazia italiana è riuscita non senza difficoltà a portare al tavolo tutte le parti in campo, a livello globale. Di cruciale importanza è stata la presenza, seppur limitata a colloqui con i Paesi europei, del generale Haftar.
Il Generale 75enne, forte della popolarità di cui gode nell'est del Paese per aver liberato Sirte e Bengasi dallo Stato Islamico, sembra essere la figura chiave per la risoluzione del rebus libico; Haftar nel corso degli anni si è mostrato molto attento alla difesa dei suoi interessi personali e non ha esitato a cambiare alleati in corso d'opera quando le circostanze lo richiedevano.
Russia e Stati Uniti, garantendo il loro sostegno all'iniziativa italiana, hanno inviato rispettivamente una delegazione guidata dal premier Dmitri Medvedev e dal vice ministro degli Esteri, Mikhail Bogdanov i primi, e il consigliere speciale del dipartimento di Stato per il Medioriente, David Satterfield, i secondi
Anche Macron e Merkel hanno preferito non essere presenti personalmente, ma solo con “tecnici”.
Nel corso dei lavori, il generale Haftar avrebbe fornito rassicurazioni sul fatto che al-Serraj potrà restare alla guida della Tripolitania senza incorrere nel timore di ingerenze, almeno fino alle elezioni. Una sorta di legittimazione, dunque, seppure limitata e focalizzata su un obiettivo comune: la difesa della Libia e delle sue frontiere e la lotta contro l’Isis e il terrorismo. Il capo dell’Esercito nazionale libico avrebbe inoltre acconsentito al ritorno a Tripoli dell'ambasciatore italiano, rientrato in patria da oltre due mesi per ragioni di sicurezza, dopo aver espresso opinioni che avrebbero interferito sulle prossime elezioni ed essere stato definito "persona non grata" dalla Commissione affari esteri della Camera libica.
Le dinamiche geopolitiche dei vari Paesi coinvolti restano comunque tuttora assai incerte: l'indebolimento dell'influenza del generale Haftar sarebbe indubbiamente un fattore facilitante per il proseguimento del processo di pace e segnerebbe probabilmente un nuovo corso per la storia del Paese nordafricano; tuttavia, l'impressione è che una pace duratura non possa essere raggiunta senza che sia garantita la tutela degli interessi strategici di Francia ed Egitto, che difficilmente accetterebbero un’uscita di scena così clamorosa dal frammentato scenario libico, senza contare Turchia e Qatar che hanno abbandonato i lavori della Conferenza non senza polemiche.
© Riproduzione riservata