La lunga notte del Partito Democratico non è conclusa. Stiamo arrivando al (loro) congresso stremati. Utilizzo la prima persona plurale volutamente: perché è tutto il sistema a venire penalizzato dallo smarrimento del prinicipale partito di opposizione. La nostra democrazia avrebbe bisogno come il pane di un Pd coeso e saldo. Il quale non può certo pensare di ricompattarsi per la buona sorte, ovvero all’affiorare di casi parlamentari inattesi, come quello increscioso di Cospito. Dovuto - diciamolo - a una insipienza politica di Fratelli d'Italia che deve far molto pensare agli evidenti limiti strategici del virilismo di destra.
Il problema è che nel Pd si stanno schiacciando e radicalizzando le posizioni, indipendentemente dal segretario che uscirà dall’estenuante percorso congressuale. Gli ultimi rimasti dei popolari - che confluirono dalla Margherita nel partitone nel 2007 - sono ai ferri corti. Ma tanto. Inutile girarci attorno: non c'è più spazio per una serie di istanze e di valori. Punto a capo. Ai quattro candidati alla segreteria (Bonaccini, Cuperlo, De Micheli e Schlein), interessano poco, molto poco. E se ne stanno accorgendo eccome proprio gli eredi del cattolicesimo democratico e progressista. C'è poco da fare, è il rigurgito carsico della sempre presente anima comunista, mai scomparsa; ed è, anche, l'effetto attrazione dei 5Stelle dell'avvocato del popolo Conte.
Dovremmo ragionarci molto seriamente. E dovrebbero farlo coloro che si rifanno al cattolicesimo democratico. Una vecchia volpe democristiana come Pierluigi Castagnetti è già un passo avanti. Tant'è che pochi giorno prima di Natale ha negato alla Stampa che il Partito Popolare possa rinascere: «Sono ancora formalmente il “capo” di un partito che non si presenta da quasi 20 anni alle elezioni e che non intende farlo - queste le sue parole -. A meno che non ci sia una trasformazione genetica del Pd. Ma ci batteremo per evitarla». Il che significa, in limpido stile scudocrociato, che ci stanno seriamente pensando, perché la "trasformazione genetica del Pd" è in corso.
Non è detto che avverrà questo esodo dall'Egitto, anche se i divorzi sono sempre meglio delle convivenze forzate. Non siamo dei sostenitori dello zero virgola. Tuttavia, al Terzo Polo, farebbe del bene una iniezione di questi valori. Intanto perché da sempre sono una componente della tradizione moderata. E poi perché aiuterebbe a bilanciare la spinta laica e radicale alla quale Calenda e Renzi strizzano volentieri l'occhio.
Inoltre - e ben lungi da ogni collateralismo con oltre Tevere - è anche opportuno che abbiano uno sbocco i percorsi condivisi da cattolici che parlano di famiglia con serenità e autorevolezza. Ovvero: senza difendere prinicipi "non negoziabili" partecipando a "feste eleganti" e con comportamenti sotto le lenzuola leciti fin che si vuole ma poco coerenti con rosari e altri gingilli devozionali; facendo capire - in questo delicato periodo di fine pontificato di Papa Bergoglio - che ci possono essere altre opzioni cattoliche rispetto a quelle sovraniste alla Steve Bannon accarezzate da molti cultori del più rigido tradizionalismo, null'altro se non il terrore di doversi mettere in gioco.
Da queste scelte, da queste possibili discontinuità, può dipendere molto del futuro politico del nostro Paese. I cattolici del Pd non debbono pensare all'immolazione come unica strada, anche perché si è visto che negli ultimi anni ha davvero portato pochi frutti all'interno del partito. Invece, per Dna, sanno lavorare sul territorio e nella formazione.
E sarebbe davvero l'ora che si potesse creare una nuova classe dirigente moderata, preparata e - proprio per questo - capace di guardare lontano, molto lontano.
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