Va bene, bisogna lasciar lavorare. Tuttavia il continuo rinvio di decisioni importanti non ci sta facendo del bene. Il Governo Meloni non sembra ancora essere entrato nella parte, lo diciamo? Ha portato a casa la liberazione di Patrick Zaki e un buon colloquio tra la nostra premier e il presidente americano Joe Biden. Sventola qualche risultato sull’immigrazione e la riforma fiscale, che piace ai commercialisti, ma si dovrà vedere alla prova dei decreti attuativi. Tuttavia, è stata rinviata a dopo l’estate le questione del salario minimo; in autunno esploderà la questione del reddito di cittadinanza. E bisognerà misurarsi con l’inflazione e - soprattutto - con la manovra finanziaria: quest’anno non avrà le indicazioni di Mario Draghi che nel 2022 aveva lasciato pronto quasi tutto.
Vediamo che cosa porterà l'ultimo Consiglio dei ministri prima delle ferie, con i temibili provvedimenti "omnibus". La temperatura è alta per la questione del Ponte sullo stretto, per l'imbarazzante caso De Angelis sulla strage alla stazione di Bologna (la matrice neofascista c’era eccome e la creatura non è un cittadino qualunque, vista la posizione che ricopre); c'è la vicenda Santanché, che adesso si aggrava - inutile giraci attorno - dopo il suicidio nel fine settimana di Luca Giuseppe Reale Ruffino, presidente di Visibilia Editore, società fondata dal ministro del Turismo. C’è un ritardo evidente - nonostante il generale Figliuolo - sugli aiuti all’Emilia Romagna e il Pnrr ha bisogno di trovare rapidità ed efficienza. Senza contare chip, algoritmi, granchio blu e taxi.
Insomma, avremmo bisogno come il pane di maturità politica, anche nelle opposizioni, ma tant’è. Il problema è che tutto questo sembra appartenere a una melina politica, un freno tirato per il timore di prendere decisioni che possono scontentare gli elettori, peraltro già guardinghi e sempre più lontani dal bene comune e dalla Cosa pubblica. Se alla ripresa entreremo già (e si entrerà, purtroppo) nella campagna per le Europee del prossimo giugno siamo fritti. Con la situazione internazionale così instabile e le previsioni economiche incerte, di tutto abbiamo bisogno fuorché di uno scenario stile autunno 2011, quando di fronte a uno spread impietoso - regnante Berlusconi - l’allora presidente Napolitano estrasse dal cilindro Mario Monti. Una scelta inevitabile, ma che alla lunga non ha giovato all’Italia, perché segnò in maniera indelebile la sconfitta della politica.
Servirebbe un sussulto di dignità istituzionale. L'esercizio della leadership contempla anche il verbo decidere. C’è un Paese molto più generoso e tenace, sui territori, reso vivo da imprenditori e amministratori impegnati a costruire un futuro: non si meritano tutto questo. Non è pessimismo o - peggio - disfattismo, ma realismo. Di tempo ne abbiamo perso ormai fin troppo.
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