C’è una storia, apparentemente piccola, ma molto significativa, che aiuta a comprendere come potrà essere complesso e difficile attuare le condizioni che guideranno gli stanziamenti dell’Unione europea con il piano Next Generation Eu. Sì perché quelle condizionalità, che sono state portate a pretesto del “no” ai fondi del Mes destinati alla sanità, saranno ancora altrettanto forti e significative per l’erogazione dei fondi per la ripresa.
Il caso è questo: in Lombardia c’è un grande aeroporto, quello della Malpensa, in provincia di Varese, che ha tutte le caratteristiche per ritornare ad essere, quando sarà superata l’emergenza della pandemia, uno snodo essenziale per il traffico aereo intercontinentale. Un grande bacino di possibile utenza, infrastrutture di alto livello, grandi potenzialità di crescita.
Malpensa, peraltro, non è solo un aeroporto, è una delle maggiori attività produttive della Lombardia: tra occupazione diretta e indiretta sono quasi 40mila i lavoratori interessati.
Con un punto debole: quello dei collegamenti sia con Milano, sia con le aree vicine come l’intero Piemonte, sia con le regioni occidentali e meridionali della Svizzera.
Per questo cinque anni fa è stato elaborato un progetto per unire, con una bretella ferroviaria di poco più di sei chilometri, i due Terminal dell’aeroporto con Gallarate e quindi sia con la storica linea del Sempione che collega Milano con Berna e Ginevra, sia con la nuova bretella transfrontaliera che collega Varese con Lugano e la linea del Gottardo.
Il collegamento ha già avuto il parere favorevole dell’Enac, della Regione Lombardia, del Ministero dell’Ambiente e, salvo alcuni rilievi particolari, della Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio. Ma non basta: il progetto ha avuto la copertura dei costi con fondi europei che il Ministero dei Trasporti ha fatto confluire nell’ambito delle Olimpiadi invernali che Milano con Cortina ospiterà nel 2026.
I costi previsti per questa linea sono di 250 milioni, ma l’effetto economico si stima superiore al miliardo per l’effetto-cantiere e quindi per l’indotto che si verrebbe a generare.
Ebbene mentre si stavano realizzando i bandi per l’esproprio dei terreni a fine gennaio si è fermato tutto: un Comune, quello di Casorate Sempione, ha posto il veto nella conferenza dei servizi sollevando un’opposizione per l’impatto ambientale sulle aree demaniali.
Forse una mossa tattica, per ottenere maggiori compensazioni, ma con il sicuro effetto di ritardare i lavori e di perdere a lungo un potenziale stimolo quando potrà ripartire la crescita del traffico aereo. Il Comune ha subito trovato la solidarietà di gruppi ambientalisti, mentre si sono fortemente allarmate tutte le realtà economiche, dagli industriali, agli artigiani, alla Camera di commercio, il cui presidente, Fabio Lunghi, ha sottolineato come «il no è il manifestarsi di quella “sindrome Nimby” che è invece quel virus da cui avevamo la speranza di essere stati resi immuni dalla lotta al Covid-19».
Un esempio questo di come lo sviluppo di una rete moderna di infrastrutture non sia in Italia prioritariamente un problema di finanziamenti. Ma quello che rischia di bloccare progetti e iniziative è l’estensione delle complicazioni burocratiche e di un diritto di veto che può provocare infiniti ritardi. Con il rischio di perdere le possibilità di investimento, ancora di più per i fondi europei che saranno erogati ad avanzamento lavori.
E infatti il presidente degli industriali varesini, Roberto Grassi ha commentato: «È urgente una riforma della Pubblica Amministrazione e una sburocratizzazione del Paese: cosa succederà quando in Italia avremo le risorse del Recovery Plan? Un singolo ricorso, un singolo comitato del no potranno bloccare tutto?».
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