Il PIL è un livello - per esempio, quello italiano è intorno ai 1500 miliardi di euro, ed è anche una variazione – per esempio, se si passa da 1500 miliardi a 1650 miliardi, si ha una variazione del 10%. Inoltre, il PIL è scomponibile in macro-variabili come i Consumi, gli Investimenti, la Spesa pubblica netta, e le Esportazioni nette, che così possono essere discusse con precisione. Tutto bene? No, ci sono tre “ma”.

Si può, infatti, finire con il pensare, poiché si aggregano nel PIL miliardi di comportamenti economici, di avere il controllo della situazione. Ossia, si può pensare che si possa intervenire per spingere le cose nella direzione voluta, per esempio riducendo il tasso di interesse, oppure le imposte, e via dicendo. In altre parole, si ha il rischio di cadere nell'illusione del controllo: una volta che la complessità è ridotta a pochi numeri, si ha che questi pochi numeri possono essere giudicati come informazioni efficienti che consentono di influenzare la direzione delle cose per di più con pochi strumenti.

All'illusione del controllo – il nostro primo “ma”, se ne aggiunge un altro. E' un “ma” che ha a che fare con il “senso” (nientemeno). Il senso dell'economia non è tanto la “crescita” – ossia che il PIL che la misura vari – quanto la mutazione dei prodotti e la distribuzione di questi – ossia lo “sviluppo”. Secondo Schumpeter il senso del Capitalismo è che la produzione di calze di seta non abbia come scopo quello di abbigliare elegantemente la Regina, bensì le milioni di operaie che le possono calzare. Ciò che avviene man mano che la produzione di calze si materializza con una produttività crescente. Si deve avere perciò chi inventa le calze industriali, chi inventa le macchine per produrle, chi finanzia il tutto, eccetera. Insomma, gli imprenditori offrono le calze a tutti.

Se il senso ultimo del Capitalismo è la produzione di calze di seta per milioni di consumatori, allora – ecco il terzo “ma” - ridurre il tutto al PIL rischia di portare a ragionamenti di tipo “statalista”: l'intervento pubblico con la variazione delle spese e delle imposte e del tasso di interesse è l'anima dell'economia, il cui andamento ultimo dipende perciò dal benvolere del Principe.

La considerevole domanda di obbligazioni da parte delle banche centrali schiaccia il rendimento di tutte le attività finanziarie, perché si riducono quelle a disposizione dei privati. Questi ultimi però le chiedono lo stesso, e perciò i loro prezzi salgono. I rendimenti si addensano, sia che il rischio sia basso, sia che sia elevato. Le obbligazioni di qualità non hanno, alla fine, un rendimento molto diverso da quelle di qualità scarsa. I bassi rendimenti di tutte le obbligazioni spingono a comprare le azioni. Le azioni sono comprate negli Stati Uniti anche a debito grazie a tassi bassi soprattutto dalle imprese quotate. La riduzione del numero di azioni in circolazione ne fa salire il prezzo e dunque scatta l'esercizio delle opzioni, il cui effetto di diluizione – aumenta il numero delle azioni - è sterilizzato dagli acquisti successivi di azioni. Al meccanismo legato all'acquisto diretto di obbligazioni si aggiunge il livello nullo dei tassi che le banche centrali praticano verso quelle di credito ordinario. Queste ultime sono spinte a comprare obbligazioni e finanziano chi le compra. E' il meccanismo dell'arbitraggio fra costo del denaro e rendimento atteso, insomma.

I prezzi delle attività finanziarie salgono in senso assoluto – ossia si ha un un livello dei prezzi maggiore - senza però che si presti una particolare attenzione ai prezzi relativi. I prezzi delle obbligazioni e delle azioni che sono ormai molto addensati non mandano dei segnali significativi: i prezzi non aiutano a scoprire le informazioni, direbbe von Hayek. Si ha di nuovo, come nel caso del PIL, il benvolere del Principe, che qui si manifesta nella forma della politica monetaria. Il benvolere del Principe allieta i sudditi che vedono salire i prezzi dei propri beni finanziari.

La Banca dei Regolamenti Internazionali sposa – a differenza del Fondo Monetario - il modo di vedere degli Austriaci. La loro preoccupazione non è, infatti, la deflazione nel campo dei beni e dei servizi, ma l'inflazione nel campo delle attività. Le azioni sono care, come le obbligazioni, e come le abitazioni. Inoltre, da molte parti, non si è ridotto il debito delle famiglie in misura sufficiente. Se si continua a sostenere il prezzo delle attività attraverso i tassi bassi – o negativi tenendo conto della pur modesta inflazione - e le politiche di acquisto delle obbligazioni, ossia se le banche centrali continuano con le politiche correnti, si ottiene che i loro prezzi si allontano sempre più dai fondamentali, ossia dalla loro “sostenibilità”. Il che, prima o poi, porta a una crisi, perché i prezzi delle attività vanno giù fino a quando non trovano un “fondamento” che li sostenga. Insomma, secondo la Banca dei Regolamenti, più si spingono le attività all'insù, come la pubblicità del caffè, più, prima poi, andranno giù, con effetti molto negativi.

Per chi volesse approfondire:

http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/3920-vivisezione-del-quantitative-easing.html

http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/3925-vivisezione-del-quantitative-easing-ii.html

http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/3781-del-salire-e-del-rimanere-sospesi.html

http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/3860-del-salire-e-del-rimanere-sospesi-ii.html

http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/ricerche/3859-i-rendimenti-nell-euro-area.html

http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/ricerche/3877-blue-chips-high-yield.html

http://www.centroeinaudi.it/le-voci-del-centro/finish/2-le-voci-del-centro/558-10-luglio-2014-il-foglio.html