Avevo sostenuto che è difficile mettere in opera le politiche economiche e per le resistenze che incontrano e perché nella loro attuazione si possono avere degli effetti imprevisti ed indesiderati (1). Avevo poi esposto le quattro opzioni di politica economica che sono oggi in offerta nell'arena politica (2). Abbiamo il commento di Giuseppe Russo su queste vicende (3). Cerco di chiarire qui la conclusione “pessimista” cui sono giunto.
Si ha un rallentamento della crescita mondiale, come combinazione rispetto al passato di una minor crescita degli emergenti e di una maggior crescita dei paesi emersi. I problemi dell'economia detta reale emergono chiaramente nell'economia detta finanziaria. Il caso cinese è emblematico: hanno costruito una montagna di infrastrutture (economia reale) finanziate col credito bancario (economia finanziaria); non trovando modo di trarre un reddito sufficiente dalle infrastrutture, sono le banche ad essere in crisi per carenza di pagamenti e degli interessi e delle quote di capitale. Quindi non abbiamo a che fare con una economia reale “buona” che fa PIL e con una finanziaria “cattiva” che fa debiti, ma con la combinazione delle due, laddove i problemi emergono con maggior evidenza nella seconda.
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Si ha una grande esposizione dei paesi emergenti indebitati soprattutto in dollari. Essi hanno un debito in una moneta che potrebbe rivalutarsi a fronte di redditi in monete che potrebbero svalutarsi. Il dollaro potrebbe rivalutarsi se i tassi di interesse negli USA cominciassero a salire, ossia se ci fosse un ciclo al rialzo. Per ora questo rialzo non è avvenuto, perché la banca centrale statunitense ha tenuto conto degli effetti sistemici di un rialzo dei suoi tassi. Potrebbero però esserci lo stesso delle forti vendite di obbligazioni espresse in dollari per anticipare il rialzo della moneta statunitense.
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La concentrazione degli investimenti è proseguita. Poche società finanziarie occidentali possiedono quantità cospicue di titoli. Se decidessero di vendere, e/o i loro clienti incominciassero a ritirare i propri denari, queste case comincerebbero a vendere. Se poi ci fosse un “effetto folla” - tutti che corrono a vendere prima che altri lo facciano – i prezzi potrebbero cadere. La caduta potrebbe essere amplificata dalla mancanza di “polmoni” robusti. I polmoni sono i market makers, quelli che comprano e vendono grandi quantità di titoli mantenendo allo stesso tempo un margine contenuto fra il prezzo domandato e il prezzo offerto. Ebbene, i market makers hanno oggi dei mezzi limitati rispetto a quelli che avevano in passato (4).
Come evitare che si crei questa forte corrente di vendite – il frutto delle aspettative che divengono negative? Non è che si possa fare molto, intendendo con il plurale appena usato le banche centrali, salvo mantenere i tassi di interesse bassi, e, se proprio il caso, riprendere a comprare obbligazioni. E qui ci sono delle resistenze. Si potrebbe pensare anche ad un politica fiscale lasca, ossia ad una maggior spesa pubblica in deficit finanziata con l'emissione di obbligazioni comprate anche dalle banche centrali. Il sostegno all'economia che ne verrebbe potrebbe ridurre i rischi immediati di una flessione del mercato delle obbligazioni - e delle azioni che ne seguirebbe, perché salendo il fattore di sconto delle azioni, che è il rendimento delle obbligazioni, scenderebbe, tutto il resto essendo eguale, il prezzo delle azioni. Ed anche qui ci sono delle resistenze.
Le resistenze sono legate al sospetto che più si hanno politiche economiche lasche più alla lunga si alimentano le “bolle”, ossia si spingono i prezzi delle attività finanziarie oltre quanto possa essere giustificato dai loro “fondamentali”. Se il soffitto dei prezzi è troppo distante dal pavimento dei fondamentali, prima o poi i prezzi cadono, ed anche molto: le bolle sono destinate a sgonfiarsi. La tesi – in breve - è che non esiste il “moto perpetuo” dei prezzi delle attività finanziarie, perciò non è saggio far finta che possa esserci.
Ora immaginiamo un referendum “svizzero” dove viene chiesto a tutti “Lei che cosa farebbe?” Le domande che si trovano sulla nostra immaginaria scheda referendaria sono due:
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Volete voi la prosecuzione delle politiche di sostegno dei prezzi delle attività finanziarie, aspettando che l'economia reale ricominci a crescere? (In termini tecnici, il sostegno della domanda riduce il tempo necessario per avere il ritorno della ripresa; in termini immaginifici la nuova bolla scaccia la vecchia bolla);
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Volete voi lasciar cadere i prezzi delle attività finanziarie senza alcun intervento pubblico allo scopo di “pulire” il mercato? (In termini tecnici, il mercato trova un equilibrio con un livello dei prezzi inferiore, con l'equilibrio che è determinato dal tasso “naturale” di interesse, e non più dal tasso di interesse “manipolato”)
Quale esito aspettarsi dal referendum? Il primo quesito per amor di etichetta lo possiamo definire “keynesiano” (con enfasi diverse, le prime di tre opzioni di politica economica che trovate qui – 2) ed il secondo “austriaco” (la quarta opzione che trovate sempre qui - 2)
Immaginiamo ora che cosa sarà detto ai media prima del referendum. I politici non possono promettere un futuro di “lacrime e sangue” e dunque diranno di votare per il primo quesito. Inoltre, è nella natura delle cose che i politici promettano un loro intervento volto al bene, anche perché, se non lo facessero, perderebbero il fascino sacerdotale di guida fra le difficoltà del mondo, e dunque non possono sposare il secondo quesito. L'industria finanziaria non può promettere un futuro di “lacrime e sangue” come viatico di un bene maggiore per paura che gli investimenti siano ritirati e messi nel conto corrente. Inoltre, l'industria finanziaria avrebbe un problema serio di reputazione: se le cose stavano mal messe e lo sapevi, allora perché hai investito; e, se non lo sapevi, allora non sei competente.
Per queste ragioni gli “austriaci” avrebbero contro l'establishment e - sulla base dei suoi soli voti - perderebbero il referendum. Ma l'establishment muove pochi voti. Il grosso dell'elettorato è avverso al rischio, o, se si preferisce, nemmeno valuta il rischio futuro, e dunque voterebbe per la soluzione interventista.
1- agenda-liberale/articoli/4216-ideologia-ed-economia.html
2- lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4217-opzioni-di-politica-economica.html
3- agenda-liberale/articoli/4223-le-scelte-di-politica-economica-hinc-et-nunc.html
4- http://www.imf.org/External/Pubs/FT/GFSR/2015/02/index.htm
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