All'Unindustria di Como si terrà domani un incontro su Brexit (1). Ecco la traccia dell'intervento di apertura, cui seguirà il dibattito.
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Il Brexit aveva dei numeri - stimati da tutte le organizzazioni ufficiali - molto negativi: in caso di Brexit una minor crescita del PIL nell'ordine dei cinque punti percentuali nei prossimi due anni rispetto all'andamento che si sarebbe avuto senza Brexit. Non si hanno, invece, i numeri di Brexit sulla UE, ma questi dovrebbero leggermente negativi – inferiori ad un punto percentuale rispetto alla crescita che si sarebbe avuta. La metà delle esportazioni britanniche è, infatti, verso la UE, mentre il dieci per cento delle esportazioni UE è verso il RU.
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I fautori del Brexit non avevano dei numeri positivi da mostrare, ma l'idea che una ulteriore liberalizzazione del mercato dei prodotti e del lavoro in un'economia globalizzata avrebbe portato – dopo un breve periodo di crisi – a una maggior crescita. Insomma, una “visione” e non una “previsione”.
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I voti non si sono disposti secondo gli interessi: le aree che esportano di più verso la UE hanno votato in maggioranza Brexit. La suddivisione Centro versus Periferia e Giovani (pro Remain ma con poca affluenza) versus Anziani (pro Brexit ma con molta affluenza) sembra essere stata la discriminante maggiore.
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La UE è un insieme di paesi in equilibrio, non il migliore degli equilibri, ma comunque efficace per trattenere tutti. Quindi, se un giocatore razionale – nella fattispecie il RU - vuole uscire dall'equilibrio è perché pensa che può ottenere di più se esce. Ai paesi che restano deve però convenire rimanere dentro la UE, anche se con minori benefici rispetto a prima, per esempio le minori esportazioni verso il RU. Perciò la UE potrebbe ammorbidirsi e concedere qualcosa a chi resta, mentre potrebbe indurirsi con il RU per mostrare degli elevati i costi di uscita per chiunque sia tentato dall'imboccare questa strada. L'ammorbidirsi verso i “fedeli” potrebbe favorire l'Italia. In ogni modo, per questa dialettica (ammorbidimento versus indurimento) la trattativa non sarà facile.
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In presenza di uno shock (un evento maggiore inatteso che si palesa all’improvviso), la finanza reagisce subito, mentre l’economia reale reagisce lentamente. I salari nominali non flettono subito, perché sono stabiliti dai contratti di lavoro, mentre i prezzi delle azioni possono flettere subito, perché non hanno un contratto che li fissi e perché riflettono subito il futuro e non il presente. Per questa ragione le borse sono “ballerine” e l’economia reale “sobria”. Dopo il referendum sul Brexit abbiamo avuto ovunque una forte caduta delle azioni, una forte caduta del cambio della sterlina e nessun movimento significativo dei prezzi delle obbligazioni emesse dai Tesori. Fra i settori colpiti, quello bancario troneggia. A un certo punto l’indice delle azioni delle banche europee ha registrato -20%. Le Borse che hanno la maggior presenza di banche – come quella italiana e spagnola – sono andate peggio delle altre, che hanno più titoli industriali e dei servizi quotati. Qual è la logica di questa caduta? Il bilancio delle banche ha in prima battuta il margine di interesse e in seconda il margine di intermediazione. Il primo si forma sui ricavi legati alla differenza fra tassi attivi e passivi, il secondo con le commissioni in sede di gestione del risparmio delle famiglie, per esempio i fondi di investimento offerti dalle banche. Se Brexit deprime l’economia reale, si hanno due effetti: un minor credito bancario (dei ricavi sui tassi attivi inferiori) e un andamento depresso dei mercati finanziari (dei ricavi commissionali sul risparmio gestito minori). Il bilancio delle banche peggiora, dunque si hanno meno risorse per fronteggiare i crediti in essere, che, con un andamento depresso delle economie, si deteriorano. Ossia, si hanno meno risorse a fronte dei cattivi crediti crescenti. La caduta dei corsi azionari delle banche ha questa spiegazione. Il movimento delle obbligazioni, che non ha penalizzato quelle “periferiche”: se il Bund ha un rendimento negativo, conviene comprare il Btp che lo ha positivo. Il Bund ha un rendimento negativo perché si cerca sicurezza nel mare periglioso della crisi, ma la troppa sicurezza alimenta anche la domanda di titoli meno sicuri emessi dai Tesori che sono comunque solventi.
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