E riecco le sanzioni. Avevamo appena visto come funzionavano quelle dell'Arabia Saudita verso il Canada, e quelle che avevano coinvolto il Sud-Africa decenni fa, che adesso abbiamo la crisi turca. Il casus belli sono le sanzioni statunitensi come ritorsione per la mancata liberazione di un pastore evangelico (1). Ma la causa belli è altra.
1 – Partiamo da lontano. Qual è la strategia statunitense nel Vicino Oriente (2). E' possibile individuare gli interessi strategici di Washington (3): “A) Vuole impedire l’ascesa di un egemone regionale. Durante la guerra fredda, ciò si traduceva nell’impedire l’estensione della sfera d’influenza sovietica oltre a Siria, Iraq, Egitto. Oggi, nel mantenere un equilibrio fra gli attori dotati di maggior peso: Israele, Arabia Saudita, Turchia e Iran. B) Vuole la protezione dei giacimenti di petrolio della provincia orientale saudita a maggioranza sciita. Non perché ne siano dipendenti: il principale fornitore nel 2017 è, infatti, stato il Canada con il 40% delle importazioni, con Riyad distante seconda col 10% circa, ma perché l’instabilità del maggiore forziere d’oro nero – il più grande giacimento al mondo è in Arabia - invierebbe scosse telluriche in tutto il pianeta. C) Vuole garantire la sicurezza agli alleati saudo-israeliani. La precarietà diffusa in entrambi i paesi li ha resi dipendenti dall’ombrello di protezione statunitense. D) Vuole mantenere i potere sui mari, potere che passa attraverso il controllo degli stretti, da cui transita l’ottanta per cento delle merci scambiate nel mondo. Nel Vicino Oriente ve ne sono ben tre: Suez (Egitto), Bab al-Mandab (Yemen), e Hormuz (che potrebbe essere messo sotto scacco dall'Iran).
Questa lettura serve per comprendere la nuova politica degli Stati Uniti. Teheran viene percepita come “naturalmente” espansionista e la Turchia non ha un ruolo che non sia di junior partner in questa strategia, il cui antagonista è l'Iran. Attenzione: gli Stati Uniti (4) “rivaleggerebbero con l’Iran anche se la Repubblica Islamica non fosse mai esistita. La grammatica imperiale – studiata per primo da Tucidide (5) - impone alla superpotenza di impedire l’ascesa di un egemone regionale che detti la propria agenda in un consistente spicchio di globo. In una regione di Paesi senza Stato oppure di proprietà private di clan regnanti – con le eccezioni di Turchia e Israele – l’Iran è convinto di possedere la profondità demografica, culturale, storica, istituzionale e morale per plasmare i destini dei territori già nell’orbita degli imperi persiani”.
La caduta del prezzo del petrolio guidata dai Sauditi aveva anche l'obiettivo di fermare l'espansione iraniana (6). Una tesi complementare per cercare una risposta al quesito sul perché gli Stati Uniti preferiscano i sauditi (un Paese clanico) agli iraniani (un'antica civiltà) è questa. Un Paese petrolifero – dove è facile centralizzare i proventi della materia prima - può essere aggressivo o conservatore, ossia può usare come non usare i proventi dell'energia fossile per espandersi politicamente all'interno (attuando una rivoluzione), oppure all'esterno (esportando una rivoluzione). Da questo punto punto di vista l'Iran è rivoluzionario sia all'interno sia all'esterno (7).
2 – Vero il ragionamento appena esposto, possiamo concludere che le ambizioni neo-ottomane di Erdogan non siano il cuore del problema nel Vicino Oriente, che è l'Iran. La deriva “imperiale” (o neo-ottomana) della Turchia che abbandona l'àncora “nazionalista” (o kemalista), può avere un impatto, però limitato nell'orizzonte visibile (8). La Turchia resta un Paese che si divincola come se fosse un protagonista, ma che, alla fine, ha dei mezzi molto limitati rispetto alle ambizioni.
Soprattutto in economia. La Turchia è un Paese con un debito verso l'estero cospicuo (quaranta per cento) per di più in una moneta diversa dalla propria (quaranta per cento). Come si vede dalla tabella del Fondo Monetario Internazionale. Un Paese che dipende dal giudizio dei sottoscrittori non turchi, i quali possono non rinnovare il debito, a meno che non siano imposte delle rigide condizioni che la Turchia deve soddisfare per ricevere i finanziamenti internazionali. In particolare, le banche europee sono esposte in Turchia per un centinaio di miliardi, circa la metà dell'esposizione che avevano dieci anni fa con la Grecia.
Come si vede sempre dalla tabella, fra i Paesi messi peggio - in un mondo di interessi crescenti e del cambio in ascesa del dollaro - si hanno l'Argentina e la Turchia. In Turchia – a differenza dell'Argentina - non è stato il governo ma le imprese a indebitarsi in dollari. Anche qui la crescita finanziata con i dollari ha generato un deficit della bilancia dei pagamenti, che richiedeva altri dollari per essere finanziato. E, come nel caso argentino, l'offerta internazionale di credito si è prosciugata.
Gioca un ruolo anche il petrolio. I Paesi indebitati in dollari ma esportatori di questa materia prima da un lato hanno un costo crescente (in conto interessi) del loro debito in dollari, dall'altro hanno dei ricavi crescenti in dollari da quanto il prezzo dei barile di petrolio (che si forma in dollari) è - negli ultimi tempi - triplicato. I Paesi importatori di petrolio come la Turchia sono, invece, ulteriormente penalizzati: oltre al maggior costo del debito in dollari debbono pagare di più anche il petrolio. Il petrolio col cambio corrente della Lira contro il dollaro costa - al barile - più del doppio di quanto costasse quando - qualche anno fa - quotava il doppio (9).
1 – Per la cronaca: https://www.economist.com/finance-and-economics/2018/08/10/donald-trump-has-thrown-the-turkish-lira-under-the-bus. L'argomentazione per giustificare l'applicazione delle tariffe è: siccome la svalutazione della Lira rende competitivo l'acciaio turco, la tariffa va a coprire la differenza. Fonte: https://www.ft.com/content/f50594a8-9c96-11e8-ab77-f854c65a4465: “Mr Trump added to the pressure when he made a shock announcement on Twitter. “I have just authorised a doubling of Tariffs on Steel and Aluminum with respect to Turkey as their currency, the Turkish Lira, slides rapidly downward against our very strong Dollar!” he tweeted. “Aluminum will now be 20% and Steel 50%. Our relations with Turkey are not good at this time!”
2- http://www.treccani.it/enciclopedia/vicino-oriente_%28Enciclopedia-Italiana%29/
3 - http://www.limesonline.com/carta-le-priorita-degli-usa-in-medio-oriente/108227
7 – Jeff D. Cogan, Petro-aggression, Cambridge University Press, 2013
9 - https://www.ft.com/content/b369b57a-9c95-11e8-ab77-f854c65a4465
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