Stati Uniti e Francia sono potenze sorelle. Il legame che le unisce è, infatti, molto più sentimentale che razionale. E, proprio per questo, ben più solido.
Sono molte le questioni in agenda che dovrebbero dividere i due Paesi, come puntualmente fanno notare gli analisti a ogni nuovo incrocio. Solo per quanto riguarda gli ultimi anni: la nota frase di Macron sulla Nato “cerebralmente morta”[1]; la crisi derivata dall’accordo trilaterale Australia-Uk-Usa (Aukus) e relativo contratto di fornitura di sottomarini da Parigi a Canberra stracciato (unilateralmente) dalla seconda, in favore di Washington[2]; le dure critiche di Macron al movimento, di origine americana, woke[3]; la posizione sulla Russia (Putin in particolare) specie al principio dell’invasione in Ucraina.
Più rilevante geopoliticamente, fra i quattro casi: l’ultimo. Più adatto a spiegare la natura sentimentale del rapporto: il secondo.
Laddove, alle pubbliche scuse e rinnovate dichiarazioni di amicizia del presidente eletto Biden, Macron replicò con una metafora appassionata: «La fiducia è come l’amore: le parole vanno bene, i fatti sono meglio»[4].
Due potenze sorelle
Due potenze sorelle alle opposte sponde dell’Atlantico, unite dal principio: la Francia è infatti storicamente la “prima alleata” degli Usa. Prima a sostenerli nella Guerra di indipendenza dall’Inghilterra e prima a riconoscerli come entità statuale indipendente. Per non dire della Rivoluzione francese e l’Illuminismo, Lafayette e Washington, Alexis De Tocqueville, le due Statue della Libertà (Parigi e Washington) rivolte l’una verso l’altra, destinate a guardarsi per sempre. O, osservando la questione da un’altra prospettiva: a fissare perennemente in direzioni opposte.
Il presidente francese, Emmanuel Macron, è atterrato a Washington, prima tappa di una tre giorni di visita ufficiale che lo ha portato alla Casa Bianca, al quartier generale della Nasa e infine a New Orleans, la città più francese d’America, piccolo grande rimpianto per Parigi, che la cedette assieme all’intera Louisiana nel 1803, abdicando di fatto a un ruolo di rilievo nelle Americhe e consegnando ai neonati Stati Uniti i semi della futura potenza. Grazie al nuovo acquisto, infatti, gli Usa raddoppiarono il proprio territorio e si garantirono il controllo dello strategico bacino di Mississippi e Missouri. Altro atto d’amore disinteressato da parte di Parigi.
Il trio Germania-Russia-Cina
I temi in agenda erano molti e gli analisti hanno sottolineato soprattutto quelli economici, certo rilevanti, ma come sempre complementari rispetto alle questioni (geo)politiche. A Washington si è discusso infatti essenzialmente del trio Germania-Russia-Cina. Tutto il resto è gravitato attorno, per essenziale impulso di Washington. Con Parigi a (in)seguire: alleato prediletto della superpotenza – certo – ma pur sempre di rango inferiore.
Secondo le agenzie, il cuore delle discussioni sarebbe stato il pacchetto economico di lotta all’inflazione (Ira-Inflation Reduction Act) promosso recentemente da Washington per la cifra enorme di 430 miliardi di dollari, con Parigi nella abituale veste di voce forte d’Europa, megafono esterno delle richieste e delle pretese di indipendenza e unità dell’Unione. L’Ira, infatti, andando a promuovere le merci prodotte negli Stati Uniti (specie nel comparto dell’alta tecnologia) rischia di danneggiare una economia europea già provata da pandemia e guerra in Ucraina.
Come ampiamente prevedibile, tuttavia, Macron non è riuscito a ottenere, su quel fronte, più di qualche generica rassicurazione verbale. «Non ho mai inteso escludere amici che hanno cooperato con noi. Non era questo l'obiettivo [del provvedimento]. Noi siamo tornati in affari, l'Europa è tornata. E adesso seguitiamo a creare le condizioni per nuovi posti di lavoro in ambito manifatturiero negli Stati Uniti, ma non a spese dell'Europa», ha dichiarato il presidente Biden, a margine dell'incontro[5].
Frase questa di puro carattere diplomatico, totalmente interlocutoria e incapace di generare effetti concreti. Essendo la competizione geoeconomica internazionale un gioco a somma zero, in cui non esistono mani tese né slanci filantropici, ma soltanto interessi particolari fra blocchi nazionali concorrenti. Come hanno ampiamente dimostrato – fra l'altro – gli effetti della vicenda ucraina in ambito energetico, con Paesi quali la Norvegia che hanno aumentato le proprie rendite di centinaia di miliardi di dollari in pochi giorni, laddove Stati vicini e alleati (vedi Italia, Francia, Germania) stanno subendo fortissimi contraccolpi per le medesime ragioni. Ossia l'aumento del costo di gas e petrolio[6]. Alla faccia della solidarietà europea. O, almeno, di quella atlantica.
Il sistema Bretton Woods
Ma non avrebbe potuto darsi diversamente, del resto. Essendo l'Ira una misura volta esattamente a scaricare i problemi economici e finanziari di Washington sul resto del mondo. O, meglio, a utilizzare la leva economico-finanziaria in maniera funzionale ai propri interessi geopolitici. Specie in Europa occidentale, area geografica che a quelle latitudini significa essenzialmente Germania. Con la Francia, da questo punto di vista, semplice vittima collaterale. È una storia già vista, questa, del resto: dal “privilegio esorbitante” alla fine del sistema di Bretton Woods.
Il colpo economico inferto dagli Usa non è certo casuale, infatti. Esso obbedisce sì a esigenze interne, ma si inserisce poi in un solco ben più ampio, sintetizzato dalla vecchia massima Nato: in Europa tenere «i tedeschi giù, i russi fuori, gli americani dentro». D’altronde l’azzardo di Putin, dopo Mosca, ha danneggiato più di tutti proprio Berlino, che si vede levati da sotto i piedi mezzo secolo di impalcatura strategica non solo in campo energetico ma, più vastamente, geopolitico nei confronti russi: da Willy Brandt ad Angela Merkel, senza soluzione di continuità.
La recente visita del cancelliere tedesco, Olaf Schölz, a Pechino – a cui si somma l’annuncio di riarmo salutato con un'ovazione dal Bundestag, ancora a febbraio, per 100 miliardi di euro[7] – ha in effetti infastidito gli Usa, la cui attenzione per le mosse di Berlino non si è mai attenuata. Da lì i sospetti e le voci (impossibili da confermare) sul mandante effettivo del sabotaggio al condotto North Stream 2, de facto pietra tombale sui piani di riavvicinamento fra Germania e Russia.
L'effetto Putin
Se Parigi condivide con Berlino l’interesse a non isolare completamente Putin (sia per scongiurare una eventuale escalation nucleare, che per evitare un ulteriore scadimento di rilievo geopolitico dell’Europa occidentale) d’altra parte potrebbe giovarsi di una Germania relativamente isolata e priva dei riferimenti classici nella politica estera (ed energetica). Washington, da parte sua, dissente decisamente sul primo punto, mentre può offrire sponda alla Francia sul secondo.
La strategia di Parigi non è mutata, dai tempi di De Gaulle: utilizzare la retorica integrativa europea per portare avanti i propri interessi. O, in maniera meno netta: plasmare una Europa finalmente forte, soltanto a guida francese. Per raggiungere un tale obiettivo, il contenimento tedesco figura quale primo imperativo strategico. Il che, tuttavia, isola di fatto Parigi sul continente. Si spiega così il riavvicinamento con l’Italia sancito dal Trattato del Quirinale – a cui fanno da contraltare stridente atteggiamenti tipicamente paternalistici di Parigi nei confronti di Roma, quali le recenti uscite di Primo ministro e Ministro dell’interno francesi sulla vicenda Sea Viking.
Le recenti evoluzioni in ambito internazionale, però, hanno ristretto enormemente lo spazio di manovra per tutti quegli attori che non si chiamino America. Questo vale tanto per la Cina (significative sia le dichiarazioni di Xi Jinping sulla Russia, sia il suo recente incontro, a Bali, con Biden[8]) quanto per la Francia. E spiega perfettamente sia il viaggio di Macron negli Usa, sia ciò che il presidente francese si porta indietro, da esso.
Il suo è stato un pellegrinaggio volto innanzitutto a ribadire il ruolo proprio – vale a dire francese – nell’agone internazionale.
A statuirne la Tripla A all’interno del concerto mondiale, a confermarne l’alto rango geopolitico. Da lì l'iniziativa di una vasta conferenza di pace in programma a Parigi per il 13 dicembre, ufficializzata proprio nel corso dell'incontro.
Secondo obiettivo del viaggio, poi – altro classico francese: mostrarsi quale mediatore privilegiato degli interessi europei oltreoceano. Fatto che acquista maggior valore rispetto al passato proprio a causa delle citate difficoltà tedesche in ambito geopolitico. Interessi europei che – come sottolineato – nelle intenzioni di Parigi coincidono sostanzialmente con quelli francesi, ma che poi – al momento attuale – risultano sempre più dipendenti dalle esclusive volontà di Washington.
Note bibliografiche
[1]Emmanuel Macron warns Europe: NATO is becoming brain-dead, The Economist, 7 novembre 2019
[2]David M. Herszenhorn, Macron on French-US alliance: 'We will see', Politico, 5 ottobre 2021.
[3]Shweta Sharma, Macron criticieses 'woke' language rules, The independent, 8 dicembre 2021.
[4]Michel Rose et alia, Why Macron?, Reuters, 30 novembre 2022.
[5]C. Caulcutt, Trade war averted? Macron gets Biden to 'tweak' his industrial subsidies, Politico, 1 dicembre 2022.
[6]T. Solsvik, N. Adomaitis, Norwey expects to earn record $131 bln from oil and gas in 2023, Reuters, 6 ottobre 2022.
[7]K. Connolly, Germany to set up 100 bn euros fund to boost its military strenght, The Guardian, 27 febbraio 2022.
[8]L. Qiang, G20 Bali: Beijing signs final declaration condemning Russian invasion of Ukraine, 16 novembre 2022, Asia News.
© Riproduzione riservata