Il 29 settembre del 2001 Oriana Fallaci pubblicava sul Corriere della sera «La rabbia e l'orgoglio». All'indomani dell'attacco alle Twin Towers la scrittrice fiorentina tornò a impugnare la sua magnifica penna intingendola però nel veleno. Quell'intervento, cui seguirono libri e dibattiti, liberò emozioni, sentimenti, ma soprattutto livore. Diventò, da New York, un manifesto anti-Islam, una sorta di mantra per tutti coloro che avevano nella pancia risentimento e, sostanzialmente, smarrimento. Qualcosa di simile a ciò che adesso, in termini decisamente più pecorecci, sta facendo il generale Vanacci.
Dovremmo riprendere in mano quelle parole ostili, in questo tempo di rabbia. Non per rinsaldarla, ma per decantarla. Lo scontro tra civiltà non è immaginabile per costruire il futuro. E noi, pensiamoci, da allora, da quell'11 settembre, non abbiamo più smesso di prenderci a sassate, con slogan, senza ragioni, con tifo da stadio. E ci azzuffiamo - almeno, in Italia - anche solo per una pesca.
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