A partire dal 2009 il volume di denaro investito in acquisto di armi, a livello mondiale, è cresciuto rispetto agli anni precedenti come non accadeva dalla fine degli anni '80

Le turbolenze geopolitiche che negli ultimi anni stanno destabilizzando la "cerniera" dell'Eurasia, l'estesa fascia di territori che si estende dal Medio Oriente al Caucaso e all'Ucraina, sembrano influenzare gli equilibri anche in un particolare settore: il commercio delle armi.
I dati del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) dimostrano come, a partire dal 2009, il volume di denaro investito in acquisto di armi, a livello mondiale, sia cresciuto rispetto agli anni precedenti come non accadeva dalla fine degli anni '80 (Figura 1).
I dati più aggiornati riguardano il 2014, e evidenziano come la spesa mondiale per le armi abbia raggiunto i 1.767 miliardi di dollari (prezzi correnti). Una cifra che, se confrontata con gli anni immediatamente precedenti (a prezzi costanti 2011) risulta in leggero calo, ma pur sempre superiore rispetto agli anni pre- 2009.
Il rapporto sulla spesa mondiale di armi emesso dal Dipartimento di Stato Statunitense (World Military Expenditures and Arms Transfers 2014 – WMEAT), spiega come nel periodo di tempo tra il 2001 e il 2011 la spesa mondiale di armi sia aumentata costantemente, con l'eccezione di un leggero declino nel 2011, crescendo negli undici anni considerati di circa il 43-49%.
Secondo i dati SIPRI, lo scorso anno i primi 15 acquirenti di armi al mondo hanno sborsato circa l'80% della spesa totale, lasciando ai restanti 157 paesi considerati il 20% (Figura 2).
Guidano la classifica gli Stati Uniti (610 miliardi dollari a prezzi correnti), che da soli hanno sborsato il 34% della spesa mondiale. Seguono Cina (216 miliardi di dollari), con il 12% della spesa, Russia (84,5 miliardi), con il 4,8%, Arabia Saudita (80,7 miliardi), con il 4,5%, Francia e Regno Unito, che con circa 60 miliardi di dollari compongono entrambe il 3,5% del totale mondiale.
A risultati analoghi giungono i dati dello International Institute for Strategic Studies (IISS) britannico, che per il 2014 pone al primo e secondo posto Stati Uniti e Cina (581 e 129,4 miliadi di dollari a prezzi correnti, rispettivamente); il terzo acquirente, tuttavia, risulta essere in questo caso l'Arabia Saudita, con 80,7 miliardi di dollari di spesa, seguita dalla Russia con 70 miliardi di spesa.


I dati SIPRI mostrano come rispetto al 2013 le spese militari degli Stati Uniti siano diminuite del 6,5%, mentre i tre paesi che seguono in classifica, Cina, Russia e Arabia Saudita, le abbiano al contrario aumentate (Figura 3).
In particolare, l'Arabia Saudita ha speso nel 2014 il 17% in più rispetto al 2013: il maggiore aumento nella rosa dei primi 15 acquirenti al mondo del 2014.
Una performance, quella saudita, che già da qualche anno fa da guida a un aumento generale delle spese militari in tutta la regione medio-orientale.
La situazione sul campo può certamente spiegare un tale trend: come ha illustrato di recente il giornalista britannico Robert Fisk, in queste settimane l'Arabia Saudita sta bombardando lo Yemen e le postazioni dell'ISIS in Siria e Iraq, insieme agli Emirati Arabi Uniti; il Governo siriano sta attaccando diverse formazioni antigovernative, tra cui l'ISIS, nel proprio territorio, così come l'Iraq. Anche Giordania e Bahrein stanno bombardando l'ISIS in Siria e Iraq, mentre l'Egitto sta bombardando parti della Libia. L'Iran sta combattendo in Iraq contro l'ISIS e Israele ha compiuto diversi attacchi alle forze governative siriane in Siria. I territori di Siria e Iraq, poi, sono interessati da bombardamenti anche da parte di Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Danimarca, Olanda, Australia e Canada (Figura 4).
In una simile situazione, le spese per armamenti dei paesi della regione sono naturalmente aumentate negli ultimi anni (Figura 5). Nel 2014, i maggiori acquirenti mediorientali sono stati (Figura 6), oltra alla già citata Arabia Saudita, Turchia ed Emirati Arabi (entrambi con circa 22 miliardi di spesa), Israele (15,9 miliardi), Oman e Iraq (entrambi con circa 9,5 miliardi).
Tuttavia, sono Oman ed Emirati Arabi, oltre alla già citata Arabia Saudita, a colpire per il loro impegno di denaro pubblico nel settore bellico. Infatti, se Riad ha speso nel 2014 quasi il 26% della spesa pubblica totale in armi, i due piccoli Stati confinanti non sono stati da meno: Mascate infatti ha impegnato nelle armi il 25,5% della spesa pubblica, mentre Abu Dhabi il 23,9% (Figura 7).
Percentuali, queste, che raddoppiano quelle degli altri paesi più "spendaccioni" nell'area, e che sottolineano importanti nuovi orientamenti dei governi locali, come dimostra il caso del piccolo e pacifico Oman, che spende nel 2014 quasi il doppio del tormentato Egitto.
Una tendenza che trova corrispondenza in diverse notizie sui quotidiani del mondo, come quella, di ottobre del 2014, dell'acquisto da parte dell'Arabia Saudita di 202 missili Patriot dalle imprese statunitensi Raytheon e Lockheed Martin, per un valore di circa 1,75 miliardi di dollari.
Anche il 2015 sembra destinato a seguire questa falsariga, come dimostrano i recenti acquisti, da parte di Egitto e Qatar, di 24 jet francesi da combattimento Rafale per un valore che oscilla tra i 6 e i 7 miliardi di dollari.