Nel mondo ha già superato l’incasso di un miliardo e 200 milioni di dollari in un mese di programmazione e considerando che è tuttora sugli schermi di decine di migliaia di sale questa ragguardevole cifra è in continuo incremento: “Barbie” è il fenomeno cinematografico dell’anno, così come nel 2022 lo era stato il nuovo “Avatar” firmato James Cameron.
Il film di Greta Gerwig, tuttavia, secondo quanto si apprende dal Washington Post e da alcuni siti americani non è distribuito ovunque in quanto considerato in certe nazioni come portatore dei «valori distorti dell’Occidente». L’amore per la libertà professato all’interno della storia ha indotto alcuni rappresentanti dei governi o regimi principalmente del mondo arabo a evitare il suo arrivo nei cinema in quanto ritenuto “pericoloso” per gli abitanti e soprattutto per le loro idee.
Lo stop del ministro libanese
In Libano, ad esempio, il ministro della cultura ha sottolineato che «il film contraddice i valori di fede e moralità promuovendo l’omosessualità e la trasformazione sessuale». Sulla stessa lunghezza d’onda il Pakistan, l’Iran, l’Egitto, l’Oman, il Bahrein. In Kuwait il presidente del comitato di censura cinematografica Lafi Al-Subaie ha accusato Barbie di «veicolare idee che incoraggiano comportamenti inaccettabili e distorcono i valori della società».
In Vietnam i media locali hanno invece scritto che il divieto al film sulla celebre bambola Mattel è dovuto al fatto che ad un certo punto compare sullo schermo per pochi secondi una mappa in cui viene rappresentato il territorio reclamato unilateralmente dalla Cina nel Mare Cinese meridionale, cioè una linea con nove punti tracciati, che si usa solitamente nelle mappe per illustrare i contenziosi territoriali.
Algeria, il divieto scatta dopo un mese
Dopo circa un mese di programmazione, il ministero della Cultura dell’Algeria ha ritirato “Barbie” in quanto, secondo la Reuters,«il film promuove l’omosessualità e altre devianze occidentali e non è conforme alle credenze religiose e culturali dell’Algeria», nazione dove l’omosessualità e la transessualità sono illegali e punite con la prigione.
Viceversa, il film è uscito negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita, stato che sulla base di quanto sta accadendo nel calcio con una Saudi League disposta a tutto - anche a consentire a Neymar di convivere con la fidanzata - pur di ergersi a campionato importante a livello internazionale ha continuato ad «aprirsi all’Occidente» anche consentendo a “Barbie” dell’americana Warner Bros di arrivare alla popolazione.
Discorso a parte per la Russia, dove dal momento dell’invasione dell’Ucraina le major americane hanno scelto di abbandonare un mercato in precedenza per loro discretamente florido. Al contrario le avventure di Barbie e Ken sono acclamate in Cina, Paese dove il film ha già incassato 34 milioni di dollari.
Clamorosi precedenti
Naturalmente “Barbie” non è l’unico lungometraggio ad essere “evitato” dai governanti di alcune nazioni. Nei Paesi arabi di recente non hanno potuto uscire il film d’animazione della Pixar “Lightyear – La vera storia di Buzz” e il fantasy “Doctor Strange nel Multiverso della Follia” a causa baci – peraltro assai fugaci - tra persone appartenenti allo stesso sesso. La censura dei film nel mondo arabo è comunque piena di sfaccettature: “Assassinio sul Nilo” , ad esempio, non è uscito sei anni orsono per la presenza di Gal Godot, attrice israeliana con un passato militare che come dichiarato dal ministro della cultura tunisino «E'un ex soldato dell'esercito di occupazione sionista, la proiezione del film aprirebbe la strada alla normalizzazione culturale e artistica con Israele».
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