La migrazione circolare potrebbe rappresentare un valido strumento per garantire migliori condizioni di mobilità ai migranti e di accesso al mercato del lavoro
Definizione e finalità
Il numero dei migranti sbarcati sulle coste italiane dal mese di gennaio 2018 è sensibilmente diminuito rispetto allo stesso periodo degli anni precedenti (Figura1 e Figura 2), ma il costante susseguirsi di flussi migratori nel nostro paese rimane una questione che potrebbe realmente trasformarsi in una grande opportunità se non venisse troppo spesso ridotta a fertile terreno di scontro politico.
L’opportunità di cui si intende scrivere è rappresentata dalla migrazione circolare. Secondo la l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (fondata nel 1951 a Ginevra, dal 2016 Agenzia collegata alle Nazioni Unite con 165 Stati membri), la migrazione circolare è “il movimento fluido delle persone tra i Paesi, compresi i movimenti temporanei o a lungo termine, che può essere utile a tutti i soggetti coinvolti, se avviene volontariamente e se legato alle esigenze del mercato del lavoro dei Paesi di origine e destinazione”.
Da questa definizione è possibile comprendere quali siano le caratteristiche di questo fenomeno: si tratta di un movimento tra Paesi diversi, e non interno ai confini di uno Stato; esso può riguardare spazi temporali differenti, in quanto comprende sia movimenti temporanei che a lungo termine; la migrazione, poi, deve essere volontaria, e non forzata, e deve seguire le esigenze del mercato del lavoro degli stati coinvolti. Per questi motivi, il suo carattere fondamentale è stato definito come triple win situation, ovvero come un’utilità per tutti i soggetti in essa coinvolti: paesi di origine, paesi di destinazione e migranti stessi. Il paese di origine, che sperimenta un’eccessiva presenza di manodopera spesso poco qualificata, otterrebbe il ritorno di un cittadino con qualifiche professionali più avanzate; il paese di destinazione risolverebbe il problema di mancanza di forza lavoro e nello stesso tempo migliorerebbe la percezione della migrazione cosiddetta “economica” da parte dell’opinione pubblica, che non si sentirebbe allarmata a causa della possibilità di un insediamento definitivo del lavoratore; infine il migrante avrebbe il sicuro vantaggio di mettersi in viaggio attraverso canali legali e regolari, potrebbe acquisire nuove competenze professionali spendibili una volta tornato nel paese di origine, e beneficerebbe di una possibilità di accesso facilitato nel caso decidesse di rientrare nel paese che lo ha accolto la prima volta (Figura 3).
L’approccio della Commissione Europea
Le prime definizioni di migrazione circolare risalgono agli anni ’70, ma solo più recentemente essa è stata analizzata dall’Unione Europea; in Italia invece non è mai stata teorizzata, anche se nella prassi sono già esistenti alcuni fenomeni riconducibili alla migrazione circolare, come ad esempio la previsione del decreto flussi per i lavoratori stagionali.
La Commissione Europea, con il documento COM (2007) 248, ha elaborato una definizione di migrazione circolare, definendola come una “forma di migrazione gestita in modo tale da consentire un certo grado di mobilità legale di andata e di ritorno tra due paesi”, ponendo quindi l’accento sulla caratteristica della circolarità, cioè del ritorno nel paese di origine del migrante (Figura 4). Il legislatore europeo ha individuato due forme di migrazione circolare rilevanti per l’Unione Europea:
1. la migrazione circolare di cittadini di paesi terzi residenti permanentemente in uno stato membro, che comprende la possibilità per queste persone di essere coinvolte in attività nel loro paese di origine, mantenendo la residenza principale nel paese UE da cui provengono;
2. la migrazione circolare di persone residenti nei paesi terzi.
Questa seconda categoria è certamente la più significativa, in quanto consente a cittadini di paesi extra UE di recarsi in Europa per un periodo di tempo determinato per motivi di studio e/o lavoro; la condizione indispensabile affinché questa migrazione possa definirsi circolare consiste nel fatto che, al termine del periodo concordato di permanenza, il cittadino stabilisca nuovamente la sua residenza nel Paese di origine, con la possibilità di mantenere alcuni “privilegi” nella concessione delle autorizzazioni nel caso decidesse di ritornare per un periodo nello Stato in cui aveva soggiornato in precedenza. Appartengono a questa categoria, per esempio, i lavoratori stagionali, i cittadini di paesi terzi che svolgono periodi di studio o di tirocinio in Europa, o che desiderano acquisire esperienze professionali all’estero, o che si spostano per progetti di ricerca.
Secondo la Commissione Europea, inoltre, sarebbe necessario mettere in atto misure per assicurare l’effettiva circolarità della migrazione, ponendo in essere, ad esempio, alcuni incentivi come la concreta possibilità di ottenere in futuro procedure facilitate di mobilità legale verso il paese in cui si è stati residenti temporanei, oppure supportare i migranti “di ritorno” durante il rientro nel paese di origine nella ricerca del lavoro. Un’ulteriore considerazione fatta dalla Commissione Europea in tema di migrazione circolare riguarda il rischio del brain drain, ossia della cosiddetta fuga di cervelli che diversi paesi stanno attualmente sperimentando, con riguardo ad alcune specifiche categorie di migranti con un livello di istruzione elevato (Figura 5). La migrazione circolare potrebbe senza dubbio in qualche modo arginare questo fenomeno, in quanto limiterebbe sul lungo periodo il rischio di espatrio definitivo da parte di queste categorie di migranti.
La predisposizione di strumenti normativi atti a promuovere e facilitare la migrazione circolare passa senza ombra di dubbio attraverso l’instaurazione di un profondo ed effettivo dialogo con i paesi terzi di provenienza dei migranti, e potrebbe essere realizzato attraverso un sistema che favorisca gli Stati che si impegnano concretamente a porre un argine al fenomeno della migrazione irregolare e che hanno legiferato in tal senso in modo più frequente (Figura 6); in questo senso, dovrebbe essere favorita ed incoraggiata la negoziazione di accordi bilaterali, tra i paesi di origine e i paesi membri dell’UE maggiormente interessati dal fenomeno.
La situazione italiana
Per quanto riguarda l’Italia, appare evidente come il concetto di migrazione circolare non sia mai stato recepito in modo organico.
Un primo riferimento può essere dato dall’art. 23 del T.U. Immigrazione, il quale, parla di “sviluppo delle attività produttive o imprenditoriali autonome nei Paesi di origine”, facendo intendere la possibilità di un ritorno dei migranti nel paese di origine. Sicuramente più significativo è l’art. 24, che consente l’ingresso in Italia, secondo quote predefinite tramite il cosiddetto decreto flussi, ai lavoratori stagionali per lo svolgimento di determinate attività lavorative, e per un tempo prestabilito; esso inoltre prevede una sorta di “diritto di prelazione” all’ingresso per il cittadino di paese terzo che abbia già lavorato temporaneamente in Italia nei cinque anni precedenti. Queste previsioni legislative, pur non essendo precisamente riconducibili alla migrazione circolare, in quanto non è previsto il processo di formazione lavorativa del migrante, né un preciso progetto di riaccompagnamento nel paese di origine e l’ingresso è consentito più volte, possono essere considerate un tentativo di approccio alla migrazione temporanea in senso generale.
Occorre poi rilevare che l’Italia ha concluso diversi accordi bilaterali in materia di lavoro, nell’ambito della cooperazione con Paesi Terzi. Infine, va segnalato che, così come previsto dall’art. 14ter del T.U. Immigrazione, vengono promossi i programmi di rimpatrio volontario assistito (RVA) che offrono sostegno al migrante che voglia fare ritorno nel paese di origine, tramite un supporto nella predisposizione dei documenti, la programmazione del viaggio e l’erogazione di una modesta somma di denaro da impiegare all’arrivo per le prime necessità.
Conclusioni
Appare quindi evidente che gli strumenti legislativi, sia a livello europeo che a livello nazionale, non abbiano ancora recepito in modo significativo la migrazione circolare, sebbene ne siano state intuite le potenzialità, soprattutto in termini di contrasto alla migrazione irregolare che sottopone ad innumerevoli rischi il migrante stesso e che oramai è diventata un fenomeno protagonista della nostra epoca: sarebbe pertanto auspicabile un maggiore intervento in questo senso, nella consapevolezza che la migrazione circolare, proprio per le caratteristiche che sono state evidenziate, non è la soluzione a tutte le problematiche relative all’immigrazione, ma rappresenta un approccio alla questione che sicuramente potrebbe avere un impatto positivo per garantire migliori condizioni di mobilità ai migranti e di accesso al mercato del lavoro.
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