Abbiamo assistito e assistiamo ancora a un forte dibattito incentrato sulla – necessaria – riforma dell’Italia e nell’ambito di questo confronto si è sviluppata la proposta di liberalizzazione delle professioni, in particolare di quella forense.

Il tema è di forte interesse perché l’avvocatura è parte integrante del sistema giustizia, che rappresenta uno snodo decisivo per la crescita e lo sviluppo, anche in termini democratici, del Paese.

La liberalizzazione porterebbe con sé il vantaggio di immettere direttamente, per così dire, la professione forense “sul mercato”, così da costringerla ad affrontare i principi di libera concorrenza, soprattutto nella determinazione dei costi del servizio legale.

Bisogna subito considerare che, per certi versi, questa è già una realtà. Oggi, infatti, vi sono quasi 300.000 avvocati sull’intero territorio nazionale, un numero che pone già di fatto il mondo legale nel mercato e lo costringe a confrontarsi con esso tutti i giorni. La battuta di un noto avvocato milanese “non è più una libera professione perché non sono più i clienti ad avere bisogno di noi, ma noi ad avere bisogno dei clienti” aiuta a comprendere una situazione alla quale occorre dare risposta.

Non vi è dubbio che sia necessaria una seria e profonda modernizzazione del sistema professionale italiano così come è indubbio che il sistema ordinistico – che realizza il controllo sugli iscritti, anche disciplinare, attraverso gli ordini professionali – sia una formula forse superata.

Nel dibattito che si è sviluppato intorno alla riforma poche voci hanno parlato della necessità per un paese moderno di poter contare su prestazioni professionali legali di livello qualitativamente elevato; ancor meno ci si è chiesti se effettivamente l’Italia riceverebbe un vero vantaggio dal parametrare e asservire il servizio professionale principalmente al mero criterio economico del costo della prestazione, posto che questo sembrerebbe essere, così almeno si legge nelle dichiarazioni di chi vuole la riforma più radicale, l’indirizzo cui spingere il mondo forense.

Ora, se appare corretto mettere in diretta correlazione la qualità e l’efficienza della giustizia con la crescita, anche economica, del nostro Paese, si deve anche ritenere che questi obbiettivi si possono raggiungere solo attraverso un servizio legale di alto profilo.


Si badi bene, quanto detto non vuole essere una difesa corporativa dell’avvocatura che vede la propria legge professionale – la riforma è in discussione in Parlamento – risalire al lontano 1933, ma nel dibattito di questi mesi, a volte un po’ manicheo, non sono state apprezzate voci che, rispetto al tema della liberalizzazione tout court, hanno messo in evidenza anche la questione della qualità professionale e della funzione dell’avvocatura in una società moderna.

Può una professione come quella forense essere sottoposta a un criterio valutativo solo di natura economica? Una liberalizzazione della professione deve passare necessariamente attraverso l’eliminazione o la riduzione dei sistemi di controllo interno, anche disciplinare? Può la domanda “quanto costa l’assistenza legale” essere l’unico parametro con cui valutare una libera professione, il cui ruolo è previsto dalla nostra Costituzione a garanzia dell’affermazione di un principio di giustizia?

Per meglio spiegare il punto, sia consentito un breve parallelismo.


Il bene della salute è d’interesse collettivo, è sentito da tutti come assolutamente imprescindibile e la sua tutela si attua soprattutto attraverso la professione medica – che prevede un sistema specialistico universitario, che qualifica il professionista verso la collettività – alla quale è sempre richiesta massima qualità e trasparenza. A fronte di ciò, concretamente, rappresenterebbe un vero miglioramento del servizio sanitario una deregulation della professione medica? 

Si pensi ora ai principi del cosiddetto “giusto processo” (art. 111 della Costituzione) che trova piena attuazione attraverso la presenza della difesa dell’imputato nell’ambito di un contraddittorio paritetico con l’accusa, davanti ad un giudice terzo e imparziale. Questi principi rappresentano garanzie per il cittadino e concorrono a costituire uno dei cardini del nostro sistema democratico, che si attua proprio nel confronto tra il potere punitivo dello Stato e il diritto alla difesa della persona accusata di un reato, che in quel momento ha al fianco solo il proprio avvocato.

L’intervento dell’avvocato, in questo quadro, deve essere valutato alla stregua di un mero criterio economico o del livello qualitativo della prestazione offerta?

Dobbiamo iniziare a chiederci quale possa essere la strada per giungere a un costante e garantito miglioramento della qualità della prestazione professionale – fuori da qualsivoglia meccanismo corporativo – a partire dal percorso universitario e dal sistema di accesso alla professione; se non rappresenti una soluzione più moderna e adeguata ai tempi l’aprire la strada a forme di associazionismo forense, in luogo del sistema degli ordini professionali, per assicurare non solo un adeguato controllo della qualità delle prestazioni offerte, ma anche una formazione del professionista improntata alla specializzazione che sia chiaramente spendibile verso la collettività.

La vera tutela del consumatore si esprime attraverso la massima trasparenza a favore di chi accede al servizio legale e la determinazione di compensi professionali che devono poter essere oggetto di libero accordo tra le parti, senza compromessi rispetto alla qualità della prestazione professionale offerta.