1. La marcia “‘No TAV” di domenica 23 novembre 2011 si è fortunatamente conclusa senza incidenti. Il cantiere non ha subito danni e i manifestanti si sono accontentati di un taglio simbolico della recinzione. Tanta è la soddisfazione delle parti che una domanda si impone quasi spontanea. Simbolico di cosa? Se ai manifestanti bastava un taglio appunto “simbolico” della recinzione, vuole dire che per loro questo simbolismo è pregno di significato, come deve esserlo anche per la Prefettura, che si è detta compiaciuta di come sono andate le cose.

2. Il primo dato da raccogliere per formulare una ipotesi di lavoro è che la soddisfazione della Prefettura deriva soprattutto dal fatto che ad essere tagliate non sono state le recinzioni di perimetro del cantiere, ma le recinzioni, appunto, simboliche.

“Non c’è stato alcun taglio delle recinzioni e nessuno è entrato”, ha sostenuto il Prefetto. “I nostri obiettivi, quindi, sono stati pienamente conseguiti e continueremo anche per il futuro assicurare l’inviolabilità del cantiere e delle sue attrezzature.” In altre parole, la Prefettura è perfettamente a suo agio nel concedere ai manifestanti il taglio delle reti, purché quelle reti non siano quelle del cantiere.

Ma allora di quale rete si tratta?

Di quella della “zona rossa”, eretta a protezione del vertice del G8 che portò agli incidenti di piazza e alla morte di un manifestante. Anche in quell’occasione il leader dei manifestanti, Luca Casarini, aveva parlato del carattere simbolico del proprio obiettivo. Se la polizia gli avesse lasciato inscenare lo “sfondamento” della zona rossa, i manifestanti si sarebbero accontentati di quello. Fu l’ostinazione a non concedere una vittoria simbolica ai manifestanti che secondo l’opinione di molti portò agli scontri e quindi alla morte del manifestante.

3. Ma è nella disponibilità della Prefettura l’accesso tattico al piano simbolico? La richiesta di una concessione simbolica è una richiesta pertinente quando a farla è una piazza vociante?

Partiamo da quest’ultima domanda. È chiaro che chi si accontenta di un gesto simbolico la fa in ragione di un compromesso. Se potesse, preferirebbe un gesto concreto, non un’azione simbolica.

Ma quale?


“In un anno ci sono 52 domeniche”, ha dichiarato il leader dei No Tav, Alberto Perino. “E noi torneremo. Continueremo a provarci perché il nostro obiettivo non è cambiato: abbattere le reti di quel cantiere illegale”.

Qui si nota una prima differenza con il caso del G8 di Genova. Per quanto vi sia un’aria di famiglia fra i No Global e i No TAV, i primi si erano posti degli obiettivi astratti di difficilissima attuazione. Il simbolico era, in effetti, il loro solo terreno. A Chiomonte, i No TAV si pongono un obiettivo molto concreto, che ritengono essere alla loro portata. Per loro il terreno simbolico non è strategico, ma tattico.

E veniamo quindi all’altra domanda. Può la Prefettura concedere una vittoria simbolica ai manifestanti senza per questo cedere alla piazza?

Nel caso di Genova era effettivamente più difficile, essendo il campo simbolico l’unico disponibile. Ma evidentemente a Chiomonte la cosa era più semplice, perché alla fine dei giochi vince chi costruisce o non costruisce la TAV, non chi ottiene più vittorie simboliche. Questo lo sa la Prefettura e lo sanno anche i manifestanti. Se fra i due si è giunti adun compromesso è per via degli scontri della settimana precedente a Roma. Se anche questa volta i No TAV si fossero avvalsi della presenza dei black block per fermare i lavori del cantiere, la loro immagine si sarebbe per così dire “incollata” alle violenze e su di loro si sarebbe abbattuta l’ira dell’opinione pubblica, scossa dalla violenza delle aggressioni della settimana precedente.

Da qui segue un altro dato da raccogliere. Gli atti tollerati a Chiomonte – il taglio delle reti – sono la trasposizione sul piano simbolico della violenza della settimana precedente. Della violenza che da sempre accompagna la protesta dei No TAV.

4. Sul piano simbolico, il taglio della recinzione è dunque un atto dilatorio che annuncia l’imminente ripresa delle ostilità. L’obiettivo non è cambiato. Il cantiere va chiuso con ogni mezzo, inclusa la forza. Se dunque concluderemo che non sarebbe nella disponibilità della Prefettura concedere questa vittoria simbolica ai No TAV allestendo la rappresentazione scenica della “zona rossa”, lo facciamo perché in nessun modo e in nessun caso si può concedere a chicchessia di considerare “illegali” azioni intraprese dall’autorità sovrana del legittimo governo erodendo il monopolio della violenza che appartiene allo Stato.

Se i No TAV considerano il cantiere illegale, che si facciano promotori di azioni legali, magari di carattere collettivo. Altre azioni non sono, o non dovrebbero essere nella loro disponibilità. È l’ora di voltare pagina a Chiomonte. Ma a dovere ripiegare sono coloro che teorizzano la legittimità dell’azione violenta contro lo Stato. E non lo Stato.


5. Non è difficile capire perché la Prefettura si è avvalsa di una rappresentazione per evitare il ripetersi di scontri.

Vista l’ormai appurata mancanza di un terreno di mediazione, se alla rigidezza ideologica della protesta si oppone la legittima rigidezza dello Stato si rischia il morto. Il morto sarebbe la vittima sacrificale immolata dal cozzo di queste sue rigidezze, e quindi la Prefettura ha forse fatto bene a spostare la disputa sul terreno astratto della rappresentazione.

Spetta alla politica il compito di emarginare chi ritiene di poter ricorrere ancora alla violenza per fini politici. Il compito è particolarmente impellente per le forze politiche liberali, perché se viene meno il principio del monopolio della violenza, il patto hobbesiano viene meno e si ritorna ad un medio evo prossimo venturo in cui gli interessi dei singoli e dei gruppi verranno portati avanti con tutti i mezzi, anche quelli della violenza organizzata.