Ma non c’era solo la Lega a condizionare: al Sud, il centro-destra non è stato mai capace di arginare, anzi non ci ha mai provato, le spinte, spesso più reazionarie che revisioniste, che rimettono in discussione l’Unità, favoleggiando di perdute età dell’oro e sognando impossibili revanscismi.

E così non solo il centro-destra ha perso un’occasione per definire il proprio profilo culturale; ma ha finito per regalare la Patria a chi aveva bandito questa parola dal proprio vocabolario, perché erede di culture – come quelle comunista e cattolica – che il Risorgimento non l’avevano mai digerito: ed esattamente per la ragione per la quale il centro-destra avrebbe dovuto difenderlo. Ossia, che quel processo era stato il frutto di una classe dirigente borghese capace di visione, volontà e capacità di darvi attuazione, nel solco di una cultura sostanzialmente liberale e democratica.

E dunque la conclusione delle celebrazioni lascia, in fondo, ancora aperta la questione, decisiva, delle culture alle quali vogliono fare riferimento i grandi partiti: ammesso che di una cultura ritengano di aver bisogno, senza accontentarsi di inseguire sondaggi e proteggere potentati.

L’altra questione sollevata da Amato nella sua intervista a “Repubblica” è l’interrogativo se siano le emergenze a unificare l’Italia: per cui, anche il governo Monti sarebbe il frutto di una (parziale) union sacrée resa possibile anche dal clima di riacquisita solidarietà nazionale (senza riferimenti a passate, e non fortunate, formule politiche).