Libertà economica, competitività e crescita
A inizio ottobre, il Centro Einaudi ha ospitato il meeting mondiale del network di think tank e centri di ricerca che fa capo al Fraser Institute, l’istituto canadese che sostiene e promuove, da diversi anni, politiche a favore del libero mercato. È stata un’occasione per discutere di libertà economica e per analizzare i risultati dell’ultimo report annuale presentato dal Fraser Institute in settembre (Economic Freedom of the World: 2011 Annual Report, The Fraser Institute). Sono emerse interessanti considerazioni sulle prospettive a livello mondiale e, in particolare, sulle tendenze in atto nell’Unione Europea e nei paesi confinanti.
Considerando il momento particolarmente critico che sta attraversando il nostro Paese, ci sembra utile cercare di analizzare i risultati ottenuti e trarne qualche spunto di riflessione. Vista la complessità del tema e le relazioni che il rapporto realizzato per l’occasione (The EU and its Neighbours: Challenges to Economic Freedom, Centro Einaudi) ha messo in luce tra libertà economica, competitività e crescita di un paese, divideremo l’analisi in due post.In questo primo articolo verranno analizzati i risultati dell’Indice di Libertà Economica contenuti nel rapporto annuale del Fraser Institute e riguardanti l’Italia.
In un secondo articolo l’analisi verrà estesa alle tematiche più ampie della qualità del sistema economico e si cercherà di trarre alcune conclusioni.
L’indice di libertà economica
L’idea di poter misurare la libertà economica risale alla seconda metà degli anni ’80, quando Michael Walker e Milton Friedman cominciarono a discuterne in una serie di conferenze a cui parteciparono, tra gli altri, i premi Nobel Gary Becker e Douglass North. Quelle conferenze, insieme a un lungo lavoro di analisi delle relazioni tra fattori istituzionali e crescita portarono, nel 1996, alla pubblicazione del primo rapporto annuale.
La libertà economica può genericamente definirsi come l’assenza di ogni tipo di coercizione o vincolo alla produzione, alla distribuzione o al consumo di beni e servizi al di là dei limiti necessari per preservare la libertà stessa. L’indice del Fraser Institute, i cui risultati sono commentati nel rapporto, utilizza quarantadue variabili che coprono cinque aree di analisi: il peso dello stato, la tutela dei diritti di proprietà, la libertà negli scambi commerciali, la presenza di un sistema monetario solido e di un buon sistema di regolamentazione dei mercati. L’indice misura solo alcuni aspetti del “vivere economico” di un paese, anche se numerosi studi hanno evidenziato come una maggiore libertà economica possa essere determinante per favorire la crescita.
La libertà economica in Italia negli anni della crisi
Il rapporto del 2011 contiene gli indicatori relativi al 2009, l’ultimo anno per cui sono disponibili i dati necessari per il calcolo delle diverse componenti. Si tratta quindi di una rilevazione fatta nel periodo forse più acuto della crisi, ed è quindi interessante osservarne i risultati.
L’Italia è terzultima tra i paesi dell’Unione Europea, seguita solo da Grecia e Slovenia; con un voto pari a 6,81, si classifica solo settantesima a livello mondiale.
Come molti paesi dell’Unione Europea, l’Italia ottiene, nel 2009, un voto insufficiente nell’area relativa alla dimensione del governo (elevati consumi pubblici, troppi trasferimenti e sussidi, elevate aliquote marginali), ottimi risultati nell’area relativa alla stabilità monetaria e buone performance in quella relativa alle libertà in ambito di commercio internazionale.
Tuttavia, emergono due dati preoccupanti:
Bassi giudizi sulla qualità del sistema giudiziario e alla difficoltà di far rispettare accordi contrattuali in caso di controversia determinano un voto insufficiente riguardante la tutela dei diritti di proprietà (5,76, 60a posizione);
Inoltre, l’Italia perde terreno nel campo della regolamentazione, dopo un lento ma costante percorso di miglioramento che durava dagli anni Ottanta.
Un percorso interrotto
Quello che si percepisce, osservando la tendenza storica, è l’idea di un percorso interrotto. Negli ultimi venticinque anni del secolo scorso la libertà economica è andata aumentando quasi costantemente. Successivamente, qualcosa si è bloccato, portando il nostro Paese (che pure non aveva mai raggiunto livelli particolarmente eccelsi) a perdere terreno sia in termini relativi sia in termini assoluti.
Sono almeno tre le cause di questa inversione di tendenza.
Fino al 2005 il peso dello Stato nell’economia stava, sia pur lentamente, diminuendo. Dopo, anche a cause dell’allentamento dei vincoli di bilancio (bassi tassi di interesse in primis), il trend si è invertito. Un fenomeno simile si è registrato nell’area di analisi relativa alla tutela dei diritti di proprietà, dove l’inversione è avvenuta addirittura all’inizio del decennio. Infine, nel campo della regolamentazione, da cinque anni si sono cominciati ad osservare i primi segnali negativi.
Siccome questi fattori sono fondamentali per la crescita e per attrarre investimenti, sarebbe quanto mai prioritario affrontare queste debolezze per uscire dal sentiero di declino relativo in cui l’Italia si trova da circa due decenni.
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