Come molti paesi dell’Unione Europea, l’Italia ottiene, nel 2009, un voto insufficiente nell’area relativa alla dimensione del governo (elevati consumi pubblici, troppi trasferimenti e sussidi, elevate aliquote marginali), ottimi risultati nell’area relativa alla stabilità monetaria e buone performance in quella relativa alle libertà in ambito di commercio internazionale.
Tuttavia, emergono due dati preoccupanti:
Bassi giudizi sulla qualità del sistema giudiziario e alla difficoltà di far rispettare accordi contrattuali in caso di controversia determinano un voto insufficiente riguardante la tutela dei diritti di proprietà (5,76, 60a posizione);
Inoltre, l’Italia perde terreno nel campo della regolamentazione, dopo un lento ma costante percorso di miglioramento che durava dagli anni Ottanta.
Un percorso interrotto
Quello che si percepisce, osservando la tendenza storica, è l’idea di un percorso interrotto. Negli ultimi venticinque anni del secolo scorso la libertà economica è andata aumentando quasi costantemente. Successivamente, qualcosa si è bloccato, portando il nostro Paese (che pure non aveva mai raggiunto livelli particolarmente eccelsi) a perdere terreno sia in termini relativi sia in termini assoluti.
Sono almeno tre le cause di questa inversione di tendenza.
Fino al 2005 il peso dello Stato nell’economia stava, sia pur lentamente, diminuendo. Dopo, anche a cause dell’allentamento dei vincoli di bilancio (bassi tassi di interesse in primis), il trend si è invertito. Un fenomeno simile si è registrato nell’area di analisi relativa alla tutela dei diritti di proprietà, dove l’inversione è avvenuta addirittura all’inizio del decennio. Infine, nel campo della regolamentazione, da cinque anni si sono cominciati ad osservare i primi segnali negativi.
Siccome questi fattori sono fondamentali per la crescita e per attrarre investimenti, sarebbe quanto mai prioritario affrontare queste debolezze per uscire dal sentiero di declino relativo in cui l’Italia si trova da circa due decenni.
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