Oltre alla manovra economica c'è altro che aspetta il governo Monti. Oltre all'economia, il governo – qualunque governo – deve infatti confrontarsi con le competenze "classiche" (affari interni, affari esteri, difesa), che possono porre sfide altrettanto impegnative di quelle economiche. Sfide, inoltre, su cui il governo sarà giudicato e che gli porranno problemi nel rapporto con i partiti, tanto quanto le scelte di finanza pubblica o gli interventi di rilancio dell'economia.

Una di queste si presenterà a breve: la TAV Torino-Lione. Non solo perché a livello istituzionale gli è già stato chiesto un preciso impegno dagli amministratori locali (si v., ad esempio, la lettera del 21 novembre).

Il movimento "no TAV" ha annunziato, infatti, per il fine settimana dall'8 all'11 dicembre una serie di iniziative in Valle di Susa, per commemorare le proteste e gli scontri degli stessi giorni del 2005.

L'esito di questo tipo di giornate, finora, è stato dei più vari: da manifestazioni pacifiche accompagnate al più da gesti "simbolici" contro i cantieri, com'è avvenuto per esempio lo scorso 23 ottobre (si v. Marasco, Hobbes e la rete di Chiomonte), a giornate di vera e propria prolungata guerriglia, come il 3 luglio scorso. In pratica, l'esito dipende dalla volontà degli organizzatori: se cioè di volta in volta la scelta è per una protesta "pacifica" o per una protesta "violenta". Alla polizia resta la gestione della situazione, comunque delicata nel primo caso, difficilissima nel secondo, considerato che l'obiettivo dichiarato di tutte le manifestazioni è quello di "violare" il cantiere (in termini "simbolici" o fisici a seconda dei casi), tagliando le reti e forzando il presidio delle forze dell'ordine.

Queste ultime dovrebbero, in teoria, avere agevolato il compito dalla norma introdotta nel cosiddetto "maxi emendamento" alla legge di stabilità, ultimo atto del governo Berlusconi. La norma stabilisce quanto segue:

"1. Per assicurare la realizzazione della linea ferroviaria Torino-Lione e garantire, a tal fine, il regolare svolgimento dei lavori del cunicolo esplorativo de La Maddalena, le aree ed i siti del Comune di Chiomonte, individuati per l'installazione del cantiere della galleria geognostica e per la realizzazione del tunnel di base della linea ferroviaria Torino-Lione, costituiscono aree di interesse strategico nazionale.

2. Fatta salva l'ipotesi di più grave reato, chiunque si introduce abusivamente nelle aree di interesse strategico nazionale di cui al comma 1 ovvero impedisce o ostacola l'accesso autorizzato alle aree medesime è punito a norma dell'articolo 682 del codice penale", ossia con l'arresto da tre mesi a un anno.


La norma può aiutare, ma certamente non basta. Il fatto è che in Val Susa il problema non è solo di norme e non è nemmeno solo di polizia. Ciò che rende pericolosa la situazione è un mix di elementi: la tradizione ancora viva dell'anarchismo e di una sinistra "antica" (ultima incarnazione, il terrorismo delle Br e di Prima Linea) che giustifica il ricorso alla violenza si accompagna alle infiltrazioni della criminalità organizzata, favorite a suo tempo dal meccanismo dei soggiorni obbligati; nell'era dei social network, la diffidenza e la chiusura di una certa cultura "montagnina" si sommano alla visibilità globale del brand "no-TAV"; la poca trasparenza, durata anni, delle (mutevoli) scelte delle Ferrovie sui tracciati ha reso a questo punto impossibile usare perfino il termine "compensazioni", ossia ciò che (come l'esperienza francese dimostra) consente fin dall'inizio di coinvolgere e rassicurare le comunità interessate dall'impatto delle grandi opere pubbliche.

Riprendere uno a uno questi fili, disinnescare la "bomba" sociale e culturale prima ancora che di ordine pubblico non è compito della polizia, che pure finora ha gestito con senso della misura e del dovere una situazione sempre sull'orlo dell'incattivimento ulteriore (il rischio è pure che dalla guerriglia si passi agli attentati). È compito delle istituzioni e delle forze politiche, chiamate a un impegno molto più esplicito di quello che c'è stato finora: non solo a Roma o a Torino (che, paradossalmente, in questo caso è lontanissima da Chiomonte), ma sul territorio valsusino. Un impegno che dissipi timori e diffidenze, certamente, ma anche quell'eccesso di ambiguità e opacità degli amministratori locali che, troppo spesso, appaiono se non complici, senza dubbio intimiditi.

A questo punto non c'è alternativa: o è vero, come sostengono i sindaci della Valle, che il movimento pacifico no TAV controlla il territorio, e allora non si capisce come vengano tollerate le presenze violente organizzate; o non è vero, ma allora da queste presenze occorrerebbe prendere le distanze in maniera assai più netta di quel che accade oggi.

La Valle Susa, in realtà, rappresenta un brutto esempio di una situazione complessiva italiana: la perdita di rappresentatività e di senso di responsabilità da parte di pezzi interi di classe dirigente, nazionale e locale. L'affermazione proterva e disperata del "non ci rappresenta nessuno" tipica dei no Tav è il precipitato grezzo ma durissimo di questa incapacità complessiva, di questa complessiva perdita di futuro.


Può essere che l'imminente fine settimana dell'8 dicembre venga scelto come occasione per un'altra prova di forza, e può essere che non accada. Nel primo caso, si potrà almeno essere certi che le forze dell'ordine faranno tutto quello che devono e magari di più ("lavoriamo come se non ci fosse domani", abbiamo sentito dire da uno dei responsabili: in queste condizioni si cerca, giorno per giorno, di evitare che capiti il peggio e ogni giorno che passa senza che sia capitato nulla è un giorno guadagnato).

Ma se non accade questa volta, accadrà inevitabilmente un'altra. Anche perché le manifestazioni contro la TAV potrebbero rappresentare un ottimo pretesto per coagulare ed esprimere dissenso violento rispetto ai sacrifici economici e ai tagli alla spesa pubblica.

Torniamo così al punto da cui eravamo partiti. Come lo smantellamento di posizioni di privilegio e di rendita che si sono create in trent'anni richiederà al governo Monti ben più di una manovra economica (ma è la condizione perché le manovre siano efficaci e percepite come eque), così la ricostruzione di un clima di convivenza civile in Valle di Susa richiede ben più che una presenza di polizia efficiente e responsabile.

Disintossicare l'aria, disperdere i veleni accumulati, come quando il vento di föhn scende dalle montagne e spazza via la nebbia sporca dalla val padana: questo è necessario fare – a prescindere, e lo diciamo a scanso di equivoci, da qualunque opinione legittimamente si nutra sull'utilità o opportunità dell'opera. E perché ciò avvenga, sarà importante la consapevolezza del neo ministro degli Interni, Anna Maria Cancellieri, ma sarà importante soprattutto che venga ascoltato l'appello del premier Monti alla responsabilità condivisa e alla non compromissione del futuro.