Occorre notare che, anche quando il cartello rimane solido, spesso emergono soluzioni alternative, quali la comparsa di nuovi produttori o di beni alternativi. Prendiamo il caso di uno dei cartelli più solidi e duraturi, l’OPEC. L’unione dei paesi produttori di petrolio aveva tutti i connotati per avere successo: pochi aderenti, alcuni con un interesse maggiore di altri (in quanto produttori di maggiori quantità), prezzi facilmente osservabili. Nonostante che il cartello esista e abbia ancora una sua influenza, a partire dagli anni Settanta si sono però avviati diversi meccanismi “di difesa” che ne hanno limitato il potere: ricerca di riserve petrolifere in altri paesi, investimenti per l’utilizzo di energie non basate sul petrolio.
In alcuni casi, i cartelli fanno molta fatica a costituirsi e ne farebbero altrettanta per sopravvivere. Prendiamo l’esempio dei tassisti. In assenza di divieti, a fronte di un accordo tra un gruppo di essi per mantenere i prezzi al di sopra del livello concorrenziale, potrebbero in un brevissimo arco di tempo entrare sul mercato nuovi operatori in grado di riportare l’equilibrio alla situazione di concorrenza perfetta. In questo caso, l’unica modalità con cui il cartello può sopravvivere è quella di ottenere un riconoscimento legale e quindi ottenere una regolamentazione che imponga, per legge, il rispetto delle condizioni desiderate dai membri del cartello stesso.
Quando ciò avviene, le soluzioni e i meccanismi di contrasto sono molto più difficili da attuare: se lo stato impone di acquistare un determinato bene da determinati attori a determinate condizioni, è più difficile che il mercato possa reagire offrendo soluzioni alternative. È da qui che nasce il problema che l’Italia sta affrontando oggi. Esistono troppi cartelli che sopravvivono grazie alla presenza di una normativa statale che ne garantisce la sopravvivenza, provocando, di fatto, un trasferimento di benessere dai consumatori ai produttori e determinando una perdita di benessere complessivo.
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