Il secondo rilievo che viene sollevato contro le liberalizzazioni riguarda l’effettiva necessità di aumentare l’offerta. Esistono già troppi avvocati/commercialisti/tassisti in circolazione, quindi è inutile liberalizzare, viene spesso sostenuto.
Si tratta di un’argomentazione evidentemente fallace. Se l’offerta è effettivamente superiore alla domanda, liberalizzare non avrà alcun effetto; viceversa, se la liberalizzazione aumentasse l’offerta, avremmo la dimostrazione che lo status quo pre-riforma era sub-ottimale. Quello che potrebbe accadere, in realtà, è paragonabile a ciò che accade in qualsiasi settore non regolamentato: gli operatori marginali, che operano con costi troppo elevati o forniscono un servizio di qualità bassa potrebbero essere espulsi dal mercato a seguito all’ingresso di nuovi concorrenti. È chiaro che questo meccanismo non può che apportare benefici netti alla collettività.
Infine, le liberalizzazioni pongono lo stesso problema che pone qualsiasi altra riforma che tocchi diritti in qualche modo acquisiti. Se liberalizzo un settore dopo che gli operatori hanno sostenuto i costi fissi per potervi operare, genero una perdita in capo agli operatori stessi. La teoria economica ci dice, però, che il costo fisso per entrare a far parte della categoria protetta non può essere stato maggiore al surplus che viene trasferito, grazie alla regolamentazione, dai consumatori ai produttori. Da un punto di vista collettivo rimane quindi vantaggioso liberalizzare: semmai possono essere pensati strumenti di compensazione per gestire, laddove si ritenesse necessario, la fase di transizione verso il libero mercato.
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