Si hanno due punti di vista maggiori: quello della “stagnazione secolare” - SS - e quello del “ritorno alla normalità” - RaN. SS sostiene che l'economia crescerà molto meno di quanto fosse cresciuta in passato per una serie di ragioni, soprattutto per l'invecchiamento della popolazione e per la minor produttività degli investimenti. RaN sostiene, al contrario, che con le politiche economiche (fiscali e monetarie) “giuste” e con la ripresa degli investimenti, il sistema tornerà a crescere, forse non come in passato, ma abbastanza per uscire bene dalla crisi.
USA ed Euro-zona: le curve dei rendimenti attese
SS è il punto di vista che va per la maggiore nel caso dell'Euro-zona, RaN è quello che va per la maggiore nel caso degli Stati Uniti (1). Gli impatti sui mercati finanziari sono diversi: nel caso di SS, la curva dei rendimenti (la disposizione dei rendimenti delle obbligazioni dai tre mesi ai trent'anni) resterà schiacciata – all'incirca come è oggi; nel caso di RaN, la curva dei rendimenti tornerà normale – all'incirca come era fino al 2007.
Nel primo caso, non si avrà una caduta dei prezzi delle obbligazioni, nel secondo la si avrà ed anche forte, ovviamente in proporzione alla durata delle obbligazioni. Il vantaggio – dopo la perdita iniziale – dell'ipotesi RaN è che i rendimenti maggiori fanno funzionare il sistema delle pensioni. Per esempio, chi oggi abbia 100 mila euro riceve dal debito in euro circa due mila euro (il due per cento). Fino a non molto tempo fa, a fronte di 100 mila euro, riceveva quattro mila euro (il quattro per cento). Perciò per avere una rendita annuale di soli quattro mila euro, oggi sono necessari ben duecento mila euro di risparmi cumulati. Negli Stati Uniti la situazione è la stessa, oggi i rendimenti delle obbligazioni sono la metà di quelli ante crisi (2).
Se condividiamo l'idea che l'Euro-zona penderà più sul lato SS che su quello RaN, dobbiamo augurarci che gli Stati Uniti penderanno su quello RaN. E la ragione è presto detta: evitare una forte rivalutazione dell'euro. L'economia europea dell'euro è in forte surplus commerciale con l'estero. Segue che l'Euro-zona esporta più di quanto importi. E il suo saldo commerciale comincia ad essere molto elevato. Circa 400 miliardi di dollari, pari al doppio del famigerato surplus cinese. L'Euro-zona in assenza di crescita – ossia se prevale SS e non RaN – comincerà ad accumulare un attivo spettacolare con l'estero. Attivo che farebbe esplodere l'euro – gli euro domandati per comprare merci europee sono molti di più degli euro offerti per comprare merci estere – a meno che l'Euro-zona non compri attività finanziarie in misura cospicua – ossia a meno di una vendita di euro per avere attività finanziarie estere di molto maggiore della domanda estera di attività finanziarie in euro.
Già, ma che cosa possono comprare oggi come oggi gli europei dell'Euro-zona? Attività finanziarie statunitensi, se gli Stati Uniti tornano a crescere, ossia se sale la loro curva dei rendimenti, ed attività finanziarie “buone” dei Paesi Emergenti, se questi continuano a crescere – la Russia e il Brasile sono però in cattive acque. Insomma, se l'Euro-zona non cresce (ipotesi SS), accumula un gigantesco surplus commerciale, mentre per molti anni avrà una politica monetaria che schiaccia i rendimenti delle sue obbligazioni. Segue dal ragionamento che gli europei dell'Euro-zona domanderanno, se il resto del mondo andrà bene (ipotesi RaN), attività finanziarie estere in misura cospicua (3).
Cina: le fluttuazioni intorno ad una crescita meno robusta
Si sta ormai diffondendo questo punto di vista sulla Cina: il suo tasso di crescita rallenterà (la tendenza maggiore), intanto che si avranno delle forti fluttuazioni (in su e in giù) intorno alla tendenza. Per esempio, il Fondo Monetario stimava (nel 2010, 2011, 2012) un tasso di crescita per il lungo termine fra il 8,5% e il 9,5%. Poi (nel 2013, 2014) ha stimato un tasso di crescita per il lungo termine fra il 6% ed il 7% (4).
La minor crescita dipende dal passaggio dal settore agricolo, a quello industriale, a quello dei servizi. I contadini sono sostituiti dai trattori, che consentono a un numero infimo di contadini di produrre molto più di quanto accadeva prima con un gran numero di contadini. I contadini vanno in città per lavorare nelle fabbriche e dunque ci vogliono case, strade, porti, aeroporti, fogne, eccetera. La domanda di contadini che si mutino in operai prima decresce e poi si ferma, perché la produttività delle fabbriche aumenta (proprio come l'effetto trattore). Infine cresce il settore dei servizi. Il tasso di crescita non può che contrarsi. Naturalmente il Paese è molto più ricco. Conta a questo punto l'effetto del reddito elevato – i consumi più sofisticati che crescono, non più solo pane e ceci, ma anche automobili e viaggi. Man mano che un Paese cresce i grandi investimenti in infrastrutture e impianti industriali diventano meno necessari, mentre aumenta il consumo della popolazione.
Perciò il minor tasso di crescita cinese ha una spiegazione banale: in Cina sta succedendo quello che è successo quando un Paese si sia finalmente sviluppato. Le fluttuazioni che tutti si aspettano dipendono dall'enorme quantità di investimenti (a credito) che hanno fatto i cinesi. Le banche sono molto esposte e potrebbero andare in crisi (5).
La borsa cinese – come si vede dal grafico - non mostra per ora alcun entusiasmo per il passaggio da un'economia trainata dagli investimenti ad una trainata dai consumi.
Giappone: riprende l'Abenomics
Il fondo governativo per gli investimenti pensionistici (Government Pension Investment Fund = GPIF) pare voglia portare la quota investita in azioni (25%) al doppio di quella ad oggi consentita (12,5%). Gestendo il fondo parecchio denaro (1200 miliardi di dollari) non sono poca cosa (6).
Lo scorso anno l'ascesa della borsa giapponese a un certo punto finì perché il GPIF aveva superato la propria capienza in azioni e le dovette vendere. Adesso la maggior capienza potrebbe rendere possibile un graduale acquisto di azioni. Allo stesso tempo il GPIF dovrebbe ridurre la quota di obbligazioni giapponesi (dal 60% al 40%). A quel punto le attività finanziarie giapponesi sarebbero pari al 65% (25%+40%), per cui il rimanente 35% sarebbe investito in attività estere. La riduzione della quota di obbligazioni giapponesi dovrebbe trovare un acquirente nella banca centrale.
Il dettaglio del meccanismo finanziario dell'Abenomics – come è chiamata la politica del nuovo governo insediato nel 2012 - è questo (7). La banca centrale compra copiosamente il debito pubblico per finanziare la spesa in deficit e per assorbire le obbligazioni dei fondi pensione, mentre i fondi pensione comprano le azioni giapponesi e comprano le obbligazioni estere. L'uscita dei capitali dal Giappone, deve, infatti, essere maggiore dell'entrata di capitali, se si vuole avere una moneta debole. Lo yen debole favorisce gli investimenti in obbligazioni estere, perché i fondi pensione riceverebbero delle cedole maggiori in monete che si rivalutano. Perciò l'Abenomics funziona se i giapponesi comprano le obbligazioni altrui. E l'estero? Se comprasse le obbligazioni giapponesi avrebbe dei rendimenti minuscoli in una moneta che si svaluta. Se comprasse le azioni giapponesi, avrebbe, al contrario, dei rendimenti (in conto capitale) elevati, ma in una moneta che si svaluta. E dunque? La soluzione per l'estero è comprare le azioni giapponesi col cambio coperto. Se le azioni giapponesi comprate dall'estero sono in valore inferiori agli acquisti di obbligazioni dei giapponesi, ecco che lo yen si svaluta.
La fragilità delle borse
La caduta del prezzo delle azioni è stata notevole da Ferragosto. Sono, invece, salite le obbligazioni (sono scesi i rendimenti). Il grafico è di qualche giorno fa. Da allora le azioni sono salite, pur restando sotto i massimi, mentre le obbligazioni non si sono ancora mosse.
Quanto accaduto ha favorito chi era soprattutto investito nel reddito fisso. Lo scenario che i mercati sembrano scontare è quello di una crescita mondiale modesta, con una inflazione modesta – un qualcosa a metà fra le succitate “stagnazione secolare” - SS - e il “Ritorno alla Normalità” RaN. Si tenga conto che quando i mercati delle azioni si indeboliscono, arrivano repentine le vendite di chi compra a debito, insieme a quelle di chi opera “scoperto”. Perciò le cadute sono veloci, mentre le ascese sono lente (8).
Ripetiamo perciò quanto detto a settembre (9). Nel 2000 e nel 2007 i mercati delle azioni avevano delle valutazioni simili a quelle correnti – dei rapporti prezzi utili alti ed un livello elevato di sottovalutazione del rischio, come misurato dall'indice VIX. La differenza fra il 2000 e il 2007 rispetto ad oggi è il livello dei rendimenti sui titoli di stato. Ai picchi dei livelli delle azioni si avevano dei rendimenti decennali normali – il 5% negli Stati Uniti ed il 3,5% in Germania, contro il 2,5% e il 1% di oggi.
Nel 2000 e nel 2007 si poteva osservare con distacco olimpico il livello elevato delle quotazioni azionarie, perché il livello dei rendimenti delle obbligazioni era sufficientemente alto da potersi spostare dal reddito variabile a quello fisso senza rischio. Oggi, invece, se ci si sposta dal reddito variabile a quello fisso si rischia, perché il rendimento delle obbligazioni è così basso se non negativo. Il prossimo movimento dei prezzi delle obbligazioni sarà all'ingiù – per alzare il rendimento di un'attività la cui cedola è fissa, è, infatti, il prezzo che deve scendere.
Per dirla con linguaggio colorito, nel 2000 e nel 2007 avevamo un mercato in “bolla” ed uno che non lo era, mentre oggi abbiamo entrambi i mercati in “bolla”. Per bolla azionaria si intende una valutazione maggiore di quella che ci si può aspettare da un flusso ragionevole di dividendi scontato con dei rendimenti normali. Per bolla obbligazionaria si intende una valutazione che non può essere giustificata una volta che la crescita economica si stabilizzi e la variazione dei prezzi (inflazione) diventi normale.
In quale dei due mercati in bolla conviene stare? Se il mercato delle azioni cade, quello delle obbligazioni resta fermo. Se il mercato delle obbligazioni cade, come avvenuto ad un certo punto del 2013, quello delle azioni cade. In questi semplici termini, il mercato delle obbligazioni è meno pericoloso. Ossia, in termini di divaricazione dei mercati in un arco temporale limitato, il mercato del reddito fisso, pur essendo molto caro, è meno pericoloso. Diverso è il caso di una ascesa regolare del rendimento delle obbligazioni. I prezzi di queste ultime scenderebbero, salirebbero i rendimenti, ossia salirebbe il fattore di sconto delle azioni, che scenderebbero anche esse. In questo caso va preferita la liquidità.
(3) G. Saravelos, “Euroglut, a new phase of global imbalances”, Deutsche Bank, 6/10/2014
(4) http://blogs.ft.com/gavyndavies/2014/10/23/chinas-slowdown-is-secular-not-cyclical/
(5) http://www.centroeinaudi.it/agenda-liberale/articoli/3514-la-cina-%C3%A8-una-tigre-di-carta.html
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