A che punto siamo con lo shock energetico? Dovremo ancora convivere con prezzi dell’energia elettrica mai visti prima, che continueranno ad alimentare povertà nelle famiglie, insieme a insolvenze e blocchi produttivi nelle imprese? Oppure tutto rientrerà presto, grazie alle misure che la politica continua ad assicurare di poter mettere in atto. O, forse, più realisticamente, grazie a quel “price cap” che l’esercito ucraino sta di fatto determinando, con la sua progressiva avanzata?
Come sempre, la verità è probabilmente nel mezzo. Lo shock iniziato a fine 2021 deriva da due fenomeni, uno sperabilmente transitorio (l’aggressione russa all’Ucraina), e l’altro strutturale (la transizione energetica). Dobbiamo pertanto continuare ad affrontare il primo, pronti anche a gestire il secondo.
Nell’immediato, tutto dipende dalla capacità di assicurare adeguati approvvigionamenti di gas, non solo per “scavallare” questo inverno, ma anche quello 2023-2024. Il gas è per l’Italia una risorsa critica, perché ogni anno consumiamo circa 75 miliardi di m3 per scaldare gli immobili, per alimentare l’industria, e per produrre la parte più importante della nostra energia elettrica, determinandone così il prezzo. E’ quindi evidente che dobbiamo sperare che gli accordi stretti con fornitori alternativi alla Russia vengano onorati, e che le navi rigassificatrici vengano prontamente ormeggiate e collegate alla rete (pare che una Soprintendenza nutrisse qualche riserva sul colore di queste navi e sul relativo impatto paesaggistico, ma penso che sapremo conviverci…). Tutto questo è compito della politica.
Il compito dei cittadini
Anche noi cittadini abbiamo però un compito, che è quello di risparmiare quanta più energia possibile, per evitare di trovarsi in un qualche momento futuro ad aver esaurito le riserve di gas, riserve che hanno una capacità massima di 17 miliardi di m3, pari cioè al 22% del consumo annuo. Per aiutarci in ciò, è bene che il mondo della politica nostrana faccia proprio l’invito, contenuto nel recente Regolamento UE 2022/1854, a non ricercare riduzioni di prezzo artificiose e generalizzate, che ridurrebbero la pressione a risparmiare energia. Semmai, si mettano in campo aiuti ben mirati, a supporto delle fasce e delle categorie maggiormente a rischio.
Per quanto riguarda gli anni successivi al 2024, ci possiamo invece attendere prezzi dell’elettricità in forte calo rispetto a quelli eccezionalmente alti di questi mesi ma, comunque, superiori a quelli storici. Gli analisti più prudenti suggeriscono prezzi di lungo termine intorno ai 70-80 €/MWh ma, se guardo alle quotazioni odierne dei futures, quelli sino al 2032 continuano a rimanere sopra i 130 €/MWh.
Cosa può spiegare il perdurare di questo “caro prezzi”? Sul lato dell’offerta, peseranno le incertezze geopolitiche sul fronte del gas, che ci porteranno a usare quantità importanti di gas liquefatto, più caro. Sul lato della domanda, il processo di decarbonizzazione sta spostando progressivamente molte utenze dai combustibili fossili all’alimentazione elettrica: dai mezzi di trasporto ai piani a induzione, dalle pompe di calore agli scaldacqua. E’ un cambiamento epocale. Un cambiamento davanti al quale ci possiamo chiedere se siamo pronti e, soprattutto, se siamo pronti ad affrontarlo usando fonti rinnovabili. E la risposta è: “non abbastanza”. Non abbastanza, perché alcune cose si possono fare, ma altre non ancora.
Un freno dalle autorizzazioni
Ciò che possiamo fare, è accelerare gli investimenti in impianti di generazione da fonti rinnovabili, così che una parte sempre maggiore dell’energia prodotta possa essere “pulita”. Per velocizzare gli investimenti, occorre liberarli dai mille lacci e lacciuoli delle procedure autorizzative, che sono sovente gestite dagli Enti preposti in modo poco comprensibile (si pensi al concetto di “potenziale archeologico” che oggi blocca molte autorizzazioni). Inoltre, occorre favorire la stipula di contratti di lungo termine (Ppa, o Power Purchase Agreements) collegati alla realizzazione di nuovi impianti, accordi rispetto ai quali lo Stato potrebbe agire con strumenti normativi per mitigare il rischio di controparte. Per ridurre il consumo di suolo, si tratta anche di favorire la realizzazione di impianti “agrivoltaici”, nonché di favorire il revamping e il repowering degli impianti esistenti. E, in quest’ultimo ambito, si tratta anche di mettere rapidamente a frutto il potenziale inespresso dell’importante, ma assai datato, patrimonio idroelettrico nazionale, con un aumento della produzione che potrebbe raggiungere il 20-30%. La recente archiviazione delle procedure di infrazione europee permetterebbe di ribaltare l’approccio sin qui seguito: anziché far espletare le gare per le concessioni alle Regioni in simultanea (scelta che inevitabilmente andrà a premiare gli aspetti economici immediati, e che porterà a vedere i primi cantieri aprirsi fra 10 anni), si tratterebbe di negoziare proroghe ragionate delle concessioni con i soggetti che sarebbero in grado di avviare progetti e cantieri in tempi immediati. Infine, si tratta di rimettere al centro del dibattito pubblico il tema dell’energia nucleare. A fronte della scontata critica che i tempi di realizzazione sono alti, decisori adulti e lungimiranti dovrebbero essere in grado di capire che ciò costituisce un motivo in più per non perdere tempo, e non invece per mettere da parte l’opzione.
L'opzione nucleare
Dall’altro lato, ci sono però anche cose che ancora non possiamo fare, mancando di tecnologie mature e scalabili. Oltre agli sviluppi ulteriori del nucleare, dai reattori di IV generazione (si pensi all’italiana Newcleo) alla fusione, c’è il problema dell’accumulo dell’energia. Le fonti rinnovabili non programmabili (fotovoltaico, eolico, idroelettrico ad acqua fluente) producono quando lo consente la natura, in modo intermittente e non programmabile, e non quando l’energia viene richiesta. Per bilanciare domanda e offerta diventa pertanto essenziale poter immagazzinare l’energia, e le soluzioni sin qui sviluppate risultano ancora inadatte a un impiego massivo: gli accumuli idroelettrici per motivi orografici, la produzione di idrogeno verde tramite elettrolizzatori per via della bassa efficienza di conversione, e le batterie agli ioni di litio per le emergenti difficoltà produttive. Su questo fronte, non ci si può che armare della pazienza tipica dello scienziato e dell’ingegnere, che ben sanno come scienza e tecnologia possano sì condurre a sviluppi importanti, ma seguendo percorsi tortuosi, e grazie ai due ingredienti “investimenti” e “tempo”. Purtroppo, questo dato di fatto contrasta con quanto pensano molti ingenui policy-maker, usi a guardare solo al primo, nella convinzione che qualsiasi problema possa essere considerato risolto con un bel “ci abbiamo messo X miliardi sopra”.
La novità delle comunità energetiche
In questo contesto “in divenire”, le comunità energetiche costituiscono una novità di estremo interesse, soprattutto se il contesto normativo diventerà più chiaro e permetterà di ampliarne il perimetro verso territori e sotto-reti più ampi di oggi. Vi è un effetto immediato, legato alla riduzione della bolletta elettrica, che è sicuramente allettante, ma ancora di più potrebbero esserlo gli effetti sistemici. Da un lato, una maggiore responsabilizzazione delle comunità ha la possibilità di suscitare ulteriori e capillari investimenti, insieme a una più profonda attenzione al tema del risparmio energetico. Dall’altro, anche se con qualche possibile criticità, le comunità energetiche possono favorire la transizione energetica, portandoci verso un nuovo sistema elettrico, digitalizzato e decentralizzato, caratterizzato da unità locali relativamente autonome, e capaci di produrre, consumare e immagazzinare energia e di partecipare a meccanismi di flessibilità.
La lezione di Churchill
Come disse Winston Churchill, “never let a good crisis go to waste”. Lo shock energetico attuale può essere interpretato come una porta verso la transizione energetica, una porta che ci conduce a usare nuove soluzioni, ad applicare aggiustamenti a regole e modelli di business ormai obsoleti, e a fare tutto ciò con una corretta gestione dei tempi: rapidamente, laddove i vincoli sono di tipo procedurale, e con prudenza, laddove siano collegati a tecnologie in divenire. Abbiamo peraltro un bell’esempio al quale rifarsi, guardando a ciò furono capaci di costruire le generazioni precedenti in questo stesso settore. A noi il compito di essere non da meno.
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