Il Testo riporta un mio intervento tenuto a Milano il 23 aprile sul tema de “Il prezzo della Politica, ovvero come i mercati scontano la politica”.

Negli ultimi tempi si sono avuti dei segnali positivi nei mercati finanziari in presenza di notizie sugli andamenti dell'economia non proprio entusiasmanti. Come è possibile che i prezzi “vanno bene” se le cose “vanno male”? Per capire la dinamica, bisogna tenere presente che i mercati sono relativamente autoreferenziali, ossia seguono anche delle logiche proprie. Dal 2008 i fondi pensione e le assicurazioni hanno comprato essenzialmente debito pubblico, perché intimoriti dalla caduta dei prezzi delle azioni; insomma, hanno comprato obbligazioni, facendone salire il prezzo (1). I rendimenti sono perciò scesi. (Le obbligazioni erogano una cedola fissa, che in presenza di un prezzo maggiore, abbassa il rendimento corrisposto). Il rendimento è, alla fine, diventato davvero basso – sui maggiori debiti pubblici i rendimenti decennali sono inferiori al 2% - e gli investitori a lungo termine come i fondi pensione e le assicurazioni sono preoccupati di non poter erogare le prestazioni pattuite. Si ha perciò una spinta all'acquisto di azioni, alla vendita di obbligazioni con rendimenti bassi - come i Bond e i Bund, e all'acquisto di obbligazioni con rendimenti alti – come i BTP e i Bonos.

Quando la situazione economica sarà tornata alla normalità, ci saranno perdite catastrofiche (il termine non è esagerato) sugli investimenti nei debiti pubblici dei Paesi detti “ben messi”. Per esempio, il rendimento medio del debito tedesco a lungo termine è storicamente intorno al 3,5%, mentre oggi è intorno al 1,5%. Segue che, se si tornasse alla “normalità”, si avrebbe un'ascesa del rendimento del 2%, che porterebbe ad una cada del prezzo dell'obbligazione del 20%. Negli Stati Uniti i conti portano a una perdita superiore al 30% (2).

Intanto che si delinea questo scenario, i giapponesi hanno deciso di attaccare Pearl Harbor (3). Ossia, monetizzare il debito pubblico con un'immissione colossale di moneta. (Il deficit pubblico che resta cospicuo è finanziato dalla banca centrale). Si hanno dei rendimenti delle obbligazioni inferiori al 1%, a fronte di un'inflazione attesa del 2%. Ossia i rendimenti reali sono negativi. Ai fondi pensione e alle assicurazioni servono perciò degli investimenti più redditizi (4). Se i giapponesi punteranno all'estero per avere dei rendimenti maggiori, venderanno yen per comprare euro e/o dollari, con il conseguente indebolimento della moneta giapponese. In questo modo, i fondi pensione guadagnano due volte, la prima perché il rendimento dei titoli esteri è maggiore, la seconda in conto valutario (5). E guadagneranno anche le imprese giapponesi, perché la rivalutazione dello yen negli ultimi dieci anni ha colpito molto le aziende giapponesi che producono all'interno del Paese.

Se i giapponesi - e non solo - compreranno - a causa del meccanismo finanziario descritto - il debito italiano, stabilizzandone il costo, il merito se lo prenderà chi ci sarà in quel momento, non importa chi, purché non faccia danni. Tutto si sta incastrando nel migliore dei modi e bisogna accendere le candele a favore del Bel Paese.

Per continuare la situazione italiana, il nostro sistema bancario è solido, come sostiene anche un recente rapporto del Fondo Monetario (6), mentre la famigerata Goldman Sachs sostiene che il prezzo dei titoli di stato italiani è “fair”. Che cosa mai significa? Il costo corrente del debito è oggi intorno al 3% - una sorta di media fra un 1% dei titoli a due anni e del 4% a dieci anni. Il debito è di circa 2 mila miliardi, ossia, se è tutto rinnovato con i rendimenti correnti, gli oneri da interessi sarebbero circa 60 miliardi di euro. Attualmente gli oneri da interesse – il costo storico - sono pari a circa 80 miliardi di euro. Insomma, gli oneri da interessi stanno convergendo verso un ammontare di 70 miliardi di euro. Il bilancio dello stato prima del pagamento degli interessi è in avanzo (ossia le sue uscite sono minori delle entrate) per circa 70 miliardi di euro. Ossia, il bilancio pubblico paga le spese correnti e gli interessi con le imposte che raccoglie, vale a dire non deve emettere obbligazioni, e dunque il debito pubblico è stabilizzato, non cresce. A questo punto, basta una crescita economica anche risicata per avere una discesa del debito in rapporto percentuale del PIL. Non perciò più richiesto un premio per il rischio, perché il debito è sotto controllo, e dunque il suo prezzo è “fair”. A questo punto, la politica, messo il debito (anche grazie alla succitata autoreferenzialità della finanza) sotto controllo, deve occuparsi della crescita (7).

Il termine mediatico corrente è “i mercati ci giudicano”, il che può far pensare all'esistenza di un complotto, o comunque di un'entità esterna e organizzata, che muove i mercati, seguendo una propria logica spietata di arricchimento. E ogni movimento dei prezzi ha un suo significato. Sembra, ma così non è. Intanto i mercati per la maggior parte del tempo oscillano senza grande significato. Ecco che un più uno per cento, o un meno uno per cento, sono un'oscillazione normale priva di contenuto informativo. Una televisione per persone “perfettamente informate” direbbe - in presenza di queste oscillazioni normali: “oggi non è successo niente”. Questo però annoierebbe lo spettatore non “perfettamente informato” - ossia quasi tutti.

Un altro aspetto che spiega la propensione a vedere complotti ovunque è l'animo “del cavernicolo” che alberga in tutti noi. Riprendiamo le cose di Kahneman, lo studioso - unico premio Nobel dell'economia non laureato in economia - degli stereotipi comportamentali (8). Un cavernicolo nella caverna, con la moglie racchia, i poppanti pelosi e un piccolo dinosauro al posto del cane, quando sente un rumore, pensa alla tigre. Ossia, non distingue i rumori e agisce subito in modo difensivo. Come dire, ha la massima avversione al rischio. Pensa che all'origine del rumore ci sia una tigre e non un coniglio. L'altra mentalità cavernicola è l'antropomorfizzazione degli eventi, ossia noi cerchiamo una causazione degli eventi che abbia sempre dei protagonisti umani (solitamente i potenti malvagi che danneggiano con metodo gli innocenti poveri), perché non siamo ancora capaci di ragionare da “statistici”, ossia di accettare i movimenti casuali, che coinvolgono sia i malvagi sia gli innocenti. I fulmini lanciati dagli dei sono sostituiti dalle speculazioni della finanza.

I complotti sono impossibili, perché bisogna controllare troppe variabili, oltre al fatto che i mercati contengono una grossa componente di casualità. E così nascono narrative del complotto come quella di qualche tempo fa di Sivio Berlusconi che, confondendo la Deutsche Bank con la Bundesbank, ha immaginato un complotto contro l'Italia (9). Che cosa è accaduto in realtà? Le banche tedesche sono piene di titoli tossici americani, perché i tedeschi sono grandi produttori di automobili, ma non sono così furbi in altre cose. Non potendoli vendere perché non hanno mercato, per ridurre il rischio di portafoglio, hanno venduto i titoli italiani e comprato quelli tedeschi. I titoli tossici hanno un rating infimo, i nostri basso, e quelli tedeschi altissimo. Sbarazzandosi – ossia la Bundesbank che consiglia la Deutsche Bank - dei titoli italiani e sostituendoli con quelli tedeschi hanno alzato il rating medio. In questo modo hanno (apparentemente, perché è solo una media di rating) un rischio più basso.

Il mondo è imprevedibile. I complotti sono perciò impossibili perché il mondo è troppo complicato e variabile. La prima guerra mondiale, a posteriori, appare inevitabile, però nessuno la voleva e nessuno pensava che scoppiasse. Secondo lo storico Niall Ferguson - The War of the World, Penguin Books, da pagina 85 - i prezzi delle obbligazioni della Russia, Francia, Inghilterra e Germania erano fermi alla vigilia dello scoppio della Grande Guerra, ossia i mercati non avevano previsto niente. Nessuno è in grado di prevedere questo genere di eventi, ma a posteriori si cerca di fornire sempre una spiegazione. Se gli eventi non sono prevedibili, il successo continuo non è assicurato.

 

(1) http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/3248-dalle-obbligazioni-alle-azioni.html

(2) http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/1619-il-rischio-del-bund--del-bond.html

(3) http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/3396-tora-tora-tora.html

(4) http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/ricerche/3411-le-pensioni-dei-giapponesi.html

(5) http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/3402-flussi-dal-sol-levante.html

(6) http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/ricerche/3380-le-banche-italiane-secondo-il-fmi.html

(7) http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/3256-il-menu-elettorale.html

(8) http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/3417-psicodramma-con-due-personaggi.html

(9) http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/ricerche/1751-la-dinamica-dello-spread-senza-complotti.html