Gli Stati Uniti sono ridiventati - grazie al petrolio ottenuto con la frantumazione delle rocce, lo shale oil - una super-potenza energetica. Il fabbisogno di petrolio statunitense era, infatti, maggiore della produzione interna, e quindi gli Stati Uniti erano degli importatori netti. Fra qualche anno ciò non sarà più vero, con gli Stati Uniti che dovrebbero iniziare ad esportare petrolio. Gli Stati Uniti, ormai lanciati verso l'indipendenza energetica, sono così tentati dal vedere nel petrolio un'arma politica di uso imediato, ma, allo stesso tempo, facendo così, assumono che non vi saranno degli effetti penalizzanti sia economici – come un rialzo eccessivo del prezzo del barile – sia politici – come una recrudescenza estremistica (1), (2).

Da qualche tempo sono riprese le sanzioni contro alcuni Paesi - come il Venezuela e l'Iran. Lo scopo è – nel caso del Venezuela - quello di spingere verso la trasformazione democratica, mentre – nel caso dell'Iran – è quello di frenare ogni ambizione imperiale di matrice persiana. Di seguito trovate prima un approfondimento “geo-politico” sul Vicino Oriente e poi una digressione sul prezzo del petrolio e gli equilibri macroeconomici.

 

1 – Qual è la strategia statunitense nel Vicino Oriente (3)?

  • Vuole impedire l’ascesa di un egemone regionale. Durante la guerra fredda, ciò si traduceva nell’impedire l’estensione della sfera d’influenza sovietica oltre a Siria, Iraq, Egitto. Oggi, nel mantenere un equilibrio fra gli attori dotati di maggior peso: Israele, Arabia Saudita, Turchia e Iran.
  • Vuole la protezione dei giacimenti di petrolio della provincia orientale saudita a maggioranza sciita. Non perché ne siano dipendenti: il loro principale fornitore estero nel 2017 è, infatti, stato il Canada con il 40% delle importazioni, con Riad distante seconda col 10% circa, ma perché l’instabilità del maggiore forziere d’oro nero – il più grande giacimento al mondo è in Arabia - invierebbe scosse telluriche in tutto il pianeta.
  • Vuole garantire la sicurezza agli alleati sauditi e israeliani. La loro precarietà li ha resi dipendenti dall’ombrello statunitense.
  • Vuole mantenere il potere sui mari – la famigerata talassocrazia. Un potere che passa attraverso il controllo degli stretti, da cui transita l’ottanta per cento delle merci scambiate nel mondo. Nel Vicino Oriente ve ne sono tre: Suez (Egitto), Bab al-Mandab (Yemen), e Hormuz (che potrebbe essere messo sotto scacco dall'Iran).

Questa quattro punti servono per comprendere la politica degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti rivaleggerebbero con l’Iran anche se la Repubblica Islamica non esististesse. La grammatica imperiale – studiata per primo da Tucidide (4) - impone alla superpotenza di impedire l’ascesa di un egemone regionale che detti la propria agenda in un consistente spicchio di globo. In una regione di Paesi senza Stato oppure di proprietà private di clan regnanti – con le eccezioni di Turchia e Israele – l’Iran è convinto di possedere la profondità demografica, culturale, storica, istituzionale e morale per plasmare i destini dei territori già nell’orbita degli imperi persiani (5).

Una probabile risposta al quesito sul perché gli Stati Uniti preferiscano i sauditi (un Paese clanico) agli iraniani (un'antica civiltà) è questa: un Paese petrolifero – dove è facile centralizzare i proventi della materia prima - può essere aggressivo o conservatore, ossia può usare come non usare i proventi dell'energia fossile per espandersi politicamente all'interno (attuando una rivoluzione), oppure all'esterno (esportando una rivoluzione). Da questo punto punto di vista l'Iran è rivoluzionario sia all'interno sia all'esterno (6).

 

2 – L'economia del petro-stato, con qualche esempio

Un minor contributo fiscale – frutto della combinazione di una minor produzione energetica ottenuta con maggiori costi – spinge lo stato – a meno di un forte sviluppo economico trainato dal settore non energetico - a ridurre la spesa pubblica, oppure a incrementare le imposte. Insomma, il petro-stato, che consente alla popolazione di vivere pagando pochissime imposte pur ricevendo una certa quantità di servizi pubblici, potrebbe iniziare a funzionare in maniera meno efficace. Inoltre, se si pagano delle imposte significative, prima o poi sorge nella popolazione il desiderio di controllarne l'uso, ciò che alimenta il desiderio di partecipare alla vita politica. Si deduce che il petro-stato funziona facilmente con una produzione anche relativamente modesta, ma molto elevata in rapporto ai pochi abitanti, come è il caso del Kuwait. Per esempio in quello russo, dove la produzione è cospicua, ma gli abitanti sono numerosi, funziona meno. Si ha anche il caso di una popolazione di medie dimensioni con una produzione che è crollata, ma con riserve energetiche immense. E il caso del Venezuela.

In breve, per i benessere della popolazione e per il consenso politico entro una democrazia limitata rileva osservare il “barile pro-capite”.

Le entrate dello stato che traggono origine dal settore dell'energia dipendono in origine dal prezzo del petrolio e dai costi di estrazione, ossia dal margine industriale. Si cerca di calcolare qual è il prezzo del petrolio che porta il bilancio del petro-stato in pareggio, una volta che si sia calcolata la quota di entrate fiscale non energetiche. I numeri “ballano” sia perché sono difficili da calcolare, sia perché il bilancio dello stato può variare. Come che sia, nel caso russo il prezzo del petrolio (da cui ricava quello del gas) che porta il bilancio dello stato in pareggio era - nel 2016 - di 70 dollari per barile. Nel caso del Kuwait di 50 dollari. Nel caso del Venezuela di 115 dollari (7).

Sorge perciò la tentazione di calcolare la vulnerabilità politica di un Paese sulla base del prezzo del petrolio che porta il bilancio dello stato in pareggio. Dunque con i prezzi correnti – dai 70 agli 80 dollari al barile - la Russia finanzia la spesa statale, il Kuwait ancora di più, e il Venezuela per niente. Questa misura della vulnerabilità – il prezzo del barile che porta al bilancio dello stato in pareggio - è meno efficace di un'altra, dove è più facile reperire i dati.

Si calcola l'avanzo/disavanzo con l'estero. Quasi sempre i Paesi petroliferi sono in disavanzo con l'estero nel campo di beni e servizi, e quasi sempre in avanzo nell'interscambio di materie energetiche. Si ha quindi il saldo fra queste due voci, e questo saldo (in dollari) diventa il numeratore. Ci si chiede poi qual è il prezzo del petrolio (e del gas) che porta la bilancia commerciale in pareggio. Al denominatore si ha quindi la quantità di petrolio e gas esportati al netto della quantità importata moltiplicata per il prezzo dei contratti.

Fatti i conti, la Russia – i dati sono del 2015 - è in pareggio con l'estero con un petrolio a 40 dollari a barile, così come il Kuwait, mentre il Venezuela lo è a 80 dollari (8). Da notare che questi numeri sono “mobili”. Nel caso russo quando è caduto il prezzo del petrolio sono cadute anche le importazioni, perciò il prezzo del petrolio necessario a portare in pareggio i conti con l'estero si subito ridotto.

 

3 – Grafici

Il primo grafico mostra l'andamento del prezzo del petrolio negli ultimi anni. Si noti il “balzo” a seguire le sanzioni al Venezuela, la fine delle eccezioni sanzionatorie nei confronti degli importatori di greggio iraniano, il tutto in concomitanza con la crisi libica.

Il secondo grafico mostra i costi di estrazione in alcuni Paesi. Come si vede, si va da pochi dollari nel caso dell'estrazione di terra saudita a sei volte tanto nel caso dell'estrazione dal mare asiatica. Abbiamo una rendita simile a quella delle terre agricole pensata agli inizi del XIX secolo da David Ricardo. Man mano che cresce la domanda si coltivano delle terre meno produttive, ciò che avviene con dei prezzi che giustificano la loro messa a coltura. Ergo, le terre più produttive hanno dei ricavi (hanno gli stessi prezzi di quelle meno produttive) maggiori dei loro costi (hanno dei costi inferiori a quelli delle terre meno produttive), ossia hanno (un reddito come differenza fra ricavi e costi) una rendita.

 

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4 - Link

1 - https://www.economist.com/finance-and-economics/2019/04/24/america-wants-to-challenge-rogue-petrostates

2 - https://www.ft.com/content/a40ec2e0-672a-11e9-9adc-98bf1d35a056

3 - https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4986-sotto-l-ombrellone-la-crisi-in-turchia.html

4 - https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4794-la-4 - trappola-di-tucidide.html

5 - http://www.limesonline.com/cartaceo/usa-contro-iran-odio-innegoziabile-stati-uniti-repubblica-islamica

6 - Jeff D. Cogan, Petro-aggression, Cambridge University Press, 2013

7 - Sul prezzo de petrolio per portare in pareggio il bilancio dello stato: http://graphics.wsj.com/oil-producers-break-even-prices/;

8 - Sul prezzo del petrolio per portare in pareggio il bilancio con l'estero: https://cfrd8-files.cfr.org/sites/default/files/report_pdf/Discussion_Paper_Setser_Frank_Breakevens_OR_1.pdf