Orrore, pena, sgomento. Difficile esprimere i sentimenti che si provano per quanto sta succedendo in Israele. Ciò che hanno compiuto i macellai di Hamas è terribile, come è terribile l'antisemitismo che ancora non si riesce a estirpare. È terribile, pure, che all'origine di tutto questo stiano le religioni monoteiste che se le danno di santa ragione, è terribile - come potrebbe accadere in qualsiasi istante - che a pagare sia la popolazione civile, i bambini soprattutto, anche nelle striscia di Gaza.

Ho pensato di ragionare sulla parola "secolo", perché pensavamo che quello breve che ci siamo lasciati alle spalle fosse tremendo. Questi primi 23 anni del Duemila non sono incoraggianti. Rischiamo di farci ripiegare su noi stessi, perdere di vista l'umanità e le possibilità di futuro. Dall'11 settembre 2001 è stato un crescendo di rabbia e orgoglio, ne avevamo già parlato. Adesso - per ciò che ha subìto - non si può non solidarizzare con Israele, ma non possiamo e non dobbiamo permetterci la tifoseria da stadio.

Questo è l'approccio che in questi 23 anni ci ha progressivamente portato ad avere il villaggio digitale dei social. Non è progresso l'uso della parola per odiare. Non è progresso lo slogan per ragionare di pandemia, crisi economia, guerra di invasione in Ucraina. Siamo immersi negli algoritmi e non possiamo pensare che ai problemi complessi si possa dare una risposta semplicistica.

E perché questo accada dobbiamo incominicare dal nostro piccolo. A non odiare gli altri quando siamo al volante, a una assemblea di condominio, in un consiglio di amministrazione o di facoltà. Credetemi, non è retorica. Sennò, a breve, ci ritroviamo - se va bene - con i carri armati tra le nostre case dove pensiamo,  sbagliando, di essere al sicuro.