L’apporto delle scienze sociali nella definizione delle linee di sviluppo renderebbe possibili percorsi di ricerca e di analisi più efficaci anche nel settore energetico.
Attualmente, il settore energetico e i trasporti incidono, secondo le rilevazioni di IEA (l’Agenzia Internazionale dell’Energia), per due terzi sulle emissioni totali di gas serra e per l’80% delle emissioni di CO2 e di inquinanti atmosferici, ma si tratta di valori destinati a crescere a causa del contributo atteso dei paesi in via di sviluppo.
Un aumento della domanda in scarsità di offerta generalmente ha di per sé serie conseguenze economiche e sociali e, in questo caso particolare, secondo le rilevazioni di British Petroleum, al ritmo di produzione presente si stima che la durata rimanente delle riserve sia pari solo a 50,2 anni per il petrolio; 52,6 anni per il gas naturale e 134 anni per il carbone.
Da questi elementi si comprende la centralità del settore energetico e la necessità di analisi volte ad indagarne la valenza economica, le politiche, gli ambiti emergenti e le fonti rinnovabili. Allo scopo, SRM (Studi e Ricerche per il Mezzogiorno) ha avviato il progetto di ricerca ENEMED-IT, un Osservatorio Permanente sull’Energia per sviluppare la competitività dell’Italia in una visione euro-mediterranea, e con il Rapporto Annuale MED & Italian Energy Report 2019 ne presenta i risultati ottenuti.
Complessivamente, nell’attuale struttura dell’offerta di energia (Figura 1) l’81% del totale prodotto proviene da combustibili ed è l’OCSE la principale area produttiva (Figura 2 e Figura 3). Come la produzione, anche la domanda di energia globale è molto concentrata e prioritariamente rivolta al petrolio (Figura 4), l’incremento dei consumi è localizzato in Asia, posto che la crescita dei consumi nell’area OCSE si è arrestata nel 2008 a seguito della crisi economica (Figura 5).
Un focus sul Mediterrano
In base alle analisi di SRM, nell’area del Mediterraneo i combustibili fossili risultano significativamente presenti, specialmente il gas naturale e il petrolio che sono prodotti qui rispettivamente per il 4,5% e 3,2% del totale mondiale e consumati rispettivamente per il 9,3% e 7,9% globale. Si tratta di uno scenario che comprende 23 paesi (Gibilterra, Spagna, Portogallo, Francia, Monaco, Italia, Malta, Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Albania, Grecia, Cipro, Turchia, Siria, Libano, Israele, Egitto, Libia, Tunisia, Algeria e Marocco), esteso su 8.516.704 km2, corrispondente al 6,3% della superficie mondiale, popolato da 517 milioni di persone (7% della popolazione globale), con un PIL di oltre 9.000 miliardi di dollari (12% dell’equivalente mondiale).
Dal punto di vista energetico, nel Mediterraneo, il fabbisogno di energia primaria (o TPES, Total Primary Energy Supply) è pari a 39,8 EJ (exajoule), quando l’equivalente mondiale è pari a 576,2 EJ e per lo più in termini di petrolio (31%), carbone (27,1) e gas naturale (22,1%). La produzione di commodity energetiche mediterranee (22,5 EJ) non è però sufficiente a soddisfare la domanda interna e fa dell’area un importatore (19,1 EJ) in un contesto di cambi globali pari a 230,5 EJ per import e 235,2 EJ per export (con una differenza coperta dalla variazione delle scorte). Tra i principali produttori si trovano Algeria (3.043 PJ – petajoule - di greggio e 3.373 PJ di gas naturale), Egitto (rispettivamente 1.453 PJ e 1.244 PJ) e Libia (874 PJ e 339 PJ); mentre i tre principali consumatori sono Italia, Francia e Spagna (rispettivamente 2.940 PJ, 2.449 PJ e 2.767 PJ di greggio e 2.432 PJ, 1.603 PJ e 1.048 PJ di gas naturale). In più, l’area mediterranea è nevralgica per il trasferimento di energia verso l’Europa centrale e settentrionale (attraverso l’oleodotto TAL, ad esempio, che si estende da Trieste fino a Ingolstadt (D) ed ha una capacità annua si 45 milioni di tonnellate) e per l’importazione dei flussi provenienti soprattutto dalla Russia (43% del totale). Complessivamente infatti il 30% del petrolio e i due terzi delle risorse energetiche mondiali destinati all’Europa attraversano l’area mediterranea.
Per l’Italia, i transiti descritti sono vitali per soddisfare la propria richiesta energetica, posta l’alta dipendenza nazionale dall’estero (il rapporto tra importazioni nette di petrolio e somma del consumo interno quantifica la subordinazione italiana in un valore del 77% superiore alla media europea, per il gas naturale la percentuale sale al 90%), ma offrono anche opportunità strategiche. Per il proprio posizionamento infatti l’Italia può porsi come anello di congiunzione tra Nord Africa ed Europa e impegnarsi direttamente nella progettazione e nella costruzione di nuovi gasdotti. Così, nella ricerca di soluzione ai vincoli strutturali che condizionano la crescita, i limiti possono essere affrontati in ottica strategica, con una visione complessiva e sistemica che favorisca anche processi di sviluppo. Le basi di partenza per rilanciare un’economia passano ragionevolmente da un lato attraverso investimenti nei settori in cui si ha un know-how consolidato, e d’altro lato nei comparti dotati di ampia prospettiva dal punto di vista tecnologico, come appunto è l’ambito energetico.
Le criticità legate allo sfruttamento dei combustibili fossili, come detto, evidenziano il bisogno di transire a sistemi de-carbonizzati, caratterizzati dall’utilizzo di commodity rinnovabili (eolico, solare, idroelettrico, geotermico biocombustibili) come fonti energetiche. Tutto ciò avverrà attraverso modifiche lungo l’intera catena energetica, dalla produzione all’utilizzo finale, che necessariamente richiederanno decenni, un periodo in cui i combustibili fossili permarranno in una posizione rilevante all’interno dei sistemi energetici. Il gas naturale, che ha emissioni inferiori rispetto al carbone e al petrolio, potrebbe essere una soluzione interessante per ridurre il livello di gas serra e agevolare la transizione verso un sistema rinnovabile.
Alcune considerazioni conclusive
Complessivamente, nel contesto attuale, il trade-off tra crescita e sostenibilità è sempre più pressante. Tuttora prevale il ricorso al carbone (Figura 6), ma è una fonte cui progressivamente si ricorre meno. In una precedente scheda abbiamo illustrato come l’esaurimento delle risorse tradizionali, l’incremento demografico e il cambiamento climatico rendono necessaria la definizione di modelli economici alternativi, ad esempio basati su una dinamica circolare. L’analisi dei trend in atto nel settore energetico conferma che una delle sfide nella transizione consiste nella definizione di politiche che intervengano sul consenso. Ciò è possibile attraverso un incremento dell’accettabilità sociale a limitazioni nel ricorso a modelli di consumo storici e, anche, rendendo attrattiva l’adozione di abitudini nuove. Il consenso stesso diventa così una determinante essenziale per realizzare il processo di transizione energetica e di de-carbonizzazione.
Nonostante le decisioni politiche sul settore energetico abbiano ormai raggiunto un livello globale, le ripercussioni e l’impatto delle decisioni è ineguale sulle diverse popolazioni a seconda della loro vulnerabilità. Le aree povere, emarginate o sottosviluppate possono trarre un beneficio marginale maggiore dagli effetti positivi delle politiche energetiche, ma è maggiore anche la loro esposizione agli impatti negativi. Senza una transizione dai combustibili fossili, le risorse energetiche saranno progressivamente sempre meno disponibili e ciò influirà negativamente anche sulla qualità della vita. In generale, una carenza di risorse si traduce in un depauperamento su diversi fronti, come la salute, l’istruzione e l’uguaglianza. Le scelte energetiche dei singoli e delle società sia a livello nazionale che internazionale hanno conseguenze politiche, economiche, ambientali e sociali: in quest'ottica, l’apporto delle scienze sociali nella definizione delle linee di sviluppo renderebbe possibili percorsi di ricerca e di analisi più efficaci anche nel settore energetico.
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