Paul, avvocato del grande ritorno alla normalità, in altri tempi sarebbe stato bollato come un isolazionista (e lo è, in effetti) e liquidato in quattro e quattr’otto. Di isolazionisti, in fondo, se ne sono visti molti. L’intera storia del Partito repubblicano nel corso del Novecento è la storia della battaglia tra coloro che credono nella bontà e necessità dell’intervento americano nel mondo e coloro che ne reclamano la non intrusione. In una catena ideale che va dai presidenti dei roaring twenties Harding, Coolidge e Hoover, agli oppositori di Roosevelt, al senatore Robert Taft che tentò di candidarsi nel 1948. Tuttavia, più il “secolo breve” entrava nel vivo e che il ruolo imperiale degli USA si faceva inevitabile e più gli isolazionisti sono diventati nel Partito una minoranza.
La loro posizione sembrava (era?) irrazionale e antistorica. Ottocentesca: ritirarsi, nell’epoca del confronto con la Germania hitleriana e poi con la potenza sovietica, equivaleva a suicidarsi. Il GOP divenne il partito di Eisenhower (prima che presidente, generale dell’esercito americano nella Guerra mondiale), dell’aggressivo Goldwater, del big defense spending, di Nixon e delle sue ambizioni internazionali, e mai come allora politica estera ed economia apparvero così intimamente legate. La dottrina reaganiana, passata alla storia come l’apogeo del liberismo, in realtà consentiva (ed esigeva) una spesa pubblica nel settore militare come nessun liberista del passato avrebbe mai tollerato. La sua caratteristica era soltanto arrivarci attraverso uno strumento diverso dalla tassazione eccessiva: il deficit. Debito, debito, debito.
Contro tutto questo si scaglia oggi Ron Paul. La sua candidatura va valutata proprio pensando che i tempi sono molto cambiati da quando Ronnie il californiano sedeva alla Casa Bianca, per non dire Kennedy o Truman. L’America non è più al centro del mondo, la sua potenza, seppur gradualmente, declina in modo visibile, il suo ruolo di guardiano della sicurezza collettiva si va esaurendo (le rivolte arabe ne sono state, forse, la prova). Intorno al 2025, scrive Jacques Attali, la California cesserà di essere il cuore mercantile dell’impero americano e non è detto che ci sarà un nuovo impero da qualche altra parte del mondo, segnando la fine dell’epoca degli imperi.
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