Il 21 ottobre si è tenuto al Centro Einaudi un seminario sulla crisi. Sono intervenuti Giuseppe Russo sull'esplosione dei debiti pubblici e privati; Giorgio Arfaras sull'impatto della demografia. Questa settimana riportiamo le grandi linee del primo intervento, la prossima riporteremo quelle del secondo.
Trent'anni fa nei paesi detti sviluppati il debito pubblico e quello privato (delle famiglie e delle imprese) erano di modesta entità in rapporto al reddito nazionale. Erano pari a una volta e mezza il reddito nazionale. Oggi sono di notevole entità. Sono diventati pari al triplo del reddito nazionale. Il debito è cresciuto molto più del reddito.
Come mai? Per due ragioni.
La prima è stata la discesa definitiva del tasso di inflazione che ha ridotto sia i tassi di interesse nominali sia i rendimenti nominali (sono chiamati rendimenti i tassi di interesse che variano; nel caso delle obbligazioni la cedola è fissa, per cui il rendimento varia a seconda dei movimenti del prezzo). Il costo del debito pubblico e privato è diminuito, ed è diventato meno oneroso indebitarsi. (La discesa definitiva del tasso di inflazione ha ridotto quella parte di premio per il rischio che era domandata se l'inflazione fosse riapparsa; di conseguenza è sceso non solo il tasso nominale, ma quello reale).
La seconda è stata la liberalizzazione della finanza. È diventato molto più semplice erogare crediti. L'espansione dei crediti è proceduta senza che ci fossero vincoli stringenti per il controllo del rischio.
I paesi sviluppati hanno avuto una dinamica e una composizione diversa dei debiti.
L'Italia aveva un gran debito pubblico in partenza che poi è cresciuto poco, e non ha mai avuto un debito privato elevato, anche se poi è cresciuto.
I Paesi anglosassoni avevano un modesto debito pubblico in partenza, che poi è cresciuto, e hanno sempre avuto un debito privato elevato, che è pure cresciuto.
I risultati dopo trent'anni tuttavia non sono molto diversi: tutte le economie hanno un maggior indebitamento.
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