Al Centro Einaudi la crisi è oggetto di studio costante. Riprendendo a grandi linee i contenuti di un seminario tenutosi lo scorso 21 settembre, con il 2012 appena iniziato proviamo a ricostruire il passato (la scorsa settimana) e a riflettere sul futuro della crisi (questa settimana).

Lo scenario della crisi che abbiamo delineato ci fa iniziare il 2012 con una domanda. Cosa dobbiamo perciò aspettarci dal prossimo futuro?

Gli scenari possibili sono diversi: ne abbiamo contati cinque, che ordiniamo dal più roseo al più cupo (si veda schema).

 

possibili_esiti
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1. Il “migliore dei mondi possibili” si basa su un ritorno alla crescita fino al 3-4 per cento annuo complessivo, tenendo conto dell’aumento della popolazione. Una crescita che si realizzerebbe grazie all’innovazione, con aggiustamenti di bilancio in un quinquennio senza necessità di ulteriori manovre aggiuntive, mettendo mano a una nuova e decisa regolamentazione dei mercati, con un tasso di inflazione entro il 2 per cento e l’allontanamento delle tensioni mondiali (ad esempio quella con cui Iran e Stati Uniti hanno inaugurato il nuovo anno).

2. Una seconda ipotesi, dell’“inflazione programmata”, ipotizza una crescita ma non adeguata, con tensioni che si generano sui prezzi e sui mercati meno sicuri. I governi tollerano un’inflazione intorno al 4-5 per cento, che tuttavia favorisce i debitori sui creditori e inoltre scatena pressioni protezionistiche.  cinque anni non bastano a risanare i bilanci pubblici.

3. La “stagnazione programmata” si verificherebbe con una situazione come quella descritta in precedenza, in un’ottica di tagli alla spesa senza contropartite sul lato degli investimenti, che innesca un effetto moltiplicativo negativo. L’inflazione resta una minaccia e la disoccupazione non cala.

4. Al “default gestito” si arriva con una crescita asfittica dei paesi ricchi e alcuni governi che procedono alla ristrutturazione unilaterale dei debiti pubblici. In questa situazione, il mercato globale è a rischio e le tensioni sociali portano a esiti politici incerti.

5. L’ultimo scenario è il più temibile: “default e inflazione fuori controllo” , con crescita e investimenti prossimi allo zero, emissione continua di moneta, forte instabilità politica e sociale.


Fin qui, analisi e ipotesi. A parte la prima, le altre presentano rischi sempre crescenti per la tenuta dell’euro, che potrebbe tornare a un sistema come era stato lo SME, differenziando la monta al suo stesso interno: un “euro 1” (quello tedesco) al centro, attorno al quale oscillano, entro bande stabilite, gli “euro 2” o “euro 3” degli Stati membri meno virtuosi.

Questo è di fatto un primo spunto, frutto di confronto intorno ad un tavolo, nello spirito di “Agenda”. Si tratta cioè di affrontare una questione ormai sempre più essenziale e posta prepotentemente dalla crisi: se la moneta ma anche i mercati devono sottostare a delle regole, perché non prendere in considerazione la limitazione dell’accesso al mercato delle materie prime agli operatori del settore, che potrebbe porre un freno alla speculazione scatenata negli ultimi anni nel comparto delle commodities?

Sempre a proposito di limiti e regole, si pone un’altra, fondamentale, urgenza: metter mano a una più completa e seria regolamentazione delle agenzie di rating. Sono sotto gli occhi di tutti i tanti, troppi danni di cui sono state responsabili negli ultimi mesi. Danni che prescindono pressoché del tutto dal merito delle loro analisi e che sono stati provocati per il sol fatto che hanno diffuso in modo incontrollato le loro analisi e previsioni a mercati aperti, compromettendo intere sessioni di scambi in alcuni casi iniziate con segno positivo e poi virate fino a raggiungere forti ribassi e grandi perdite. Sul punto non c’è dubbio che è necessario procedere alla riforma della regolamentazione del settore del rating: per dirla con le parole di Mario Deaglio (Serve un freno al potere delle agenzie, La Stampa, 7 dicembre 2011), “occorre muoversi rapidamente in questa direzione per evitare che il mercato mangi se stesso, dopo essersi mangiato l’Europa”.

Quanto all’Italia, anche il dibattito politico con cui è iniziato il 2012 manifesta come sia ormai imprescindibile la creazione di un nuovo “patto generazionale” capace di dare fiato al futuro dei giovani, perché dopo 150 anni di storia del nostro Paese non debbano essere la generazione condannata a non avere speranze di gettare le basi per festeggiare i due secoli di storia unitaria.


Questo patto potrebbe avere alcuni capisaldi che coinvolgono le generazioni più avanti negli anni, quelle che hanno potuto accumulare dei risparmi. La possibilità di un pensionamento graduale, almeno nel terziario (e forse si sta andando in questa direzione); la possibilità di stipulare reverse mortages come esistono negli Stati Uniti, ottenendo una sorta di linea di credito su una proprietà immobiliare; la possibilità di trasferimento di una parte della ricchezza familiare prima dell’eredità, stante l’allungamento della vita media; il diritto al lavoro ma non al posto di lavoro…

Al tema del patto generazionale si affiancano quello di una riforma radicale della pubblica amministrazione, settore in cui l’impatto dell’informatizzazione sulla produttività del lavoro è stata scarso o nulla e quello dell’abbattimento dei costi della politica, attualmente all’1% del Pil contro una media Ue di 0,3-0,4 per cento.

Il tema delle riforme merita ovviamente un’analisi ben più approfondita e articolata: non a caso è al centro del dibattito, anche politico, come dimostra l’azione di governo che dopo il “salva Italia” si muove nella direzione della manovra “rilancio Italia”. Qui l’idea è di lanciare qualche idea, a cui affiancarne molte altre, da riprendere e sviluppare. Il che, in fondo, è il miglior augurio che possiamo farci per il nuovo anno.