Si delinea, inoltre, un forte contrasto tra gli americani, che vogliono proseguire e intensificare la creazione di nuova moneta e gli europei che invece ritengono essenziale conseguire prima di tutto il pareggio dei bilanci pubblici. La riunione di Seoul del novembre 2010 sancisce questa rottura. Subito dopo, scoppiano, una dopo l’altra, la crisi greca, portoghese e irlandese che si uniscono alla crisi spagnola. Dopo l’estate 2011, la crisi raggiunge l’Italia. In tutti questi casi sono i titoli pubblici, dopo i titoli tossici, a innescare una nuova ondata della crisi.
Le valutazioni delle agenzie di rating rappresentano un elemento nuovo, che scatena ondate di speculazioni al ribasso.
La domanda che ci si poneva l’autunno scorso è diventata, purtroppo, una certezza: minori entrate fiscali e difficoltà a ridurre la spesa pubblica (specie i trasferimenti, che servono a mitigare gli effetti della crisi sulle fasce più colpite della popolazione) risultano un mix esplosivo.
Nel corso del 2011 si aggiungono altri snodi di instabilità. Le rivolte arabe (forse prematuramente salutate come “primavere”), gli indignados che dalla Spagna fanno il giro dell’Europa e arrivano negli Stati Uniti con Occupy Wall Street , i disordini in Inghilterra, le difficoltà dei debiti sovrani. Proprio questi ultimi fanno scattare l’allarme: non sono solo più i PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) a preoccupare (della Grecia si disse inizialmente che rappresentava solo il 3% del Pil dell’Ue), perché si aggiunge anche l’Italia (e l’acronimo diventa PIIGS) e poi anche la Francia viene messa sotto stress dall’esordio di attacchi speculativi (il suo debito è passato dal 60% all’85% del Pil e anche altri indicatori economici sono in rapido peggioramento) e dalle incertezze delle prossime elezioni presidenziali di quest’anno. Inizia così a circolare un nuovo acronimo: EEG (Everybody Except Germany).
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