Al Centro Einaudi la crisi è oggetto di studio costante. Riprendendo a grandi linee i contenuti di un seminario tenutosi lo scorso 21 settembre, con il 2012 appena iniziato proviamo a ricostruire il passato (questa settimana) e a riflettere sul futuro della crisi (la prossima settimana).

Anno nuovo, crisi vecchia.
Con i tempi che corrono, è forse il migliore augurio che ci si possa fare: la speranza è infatti di non doverne affrontare di nuove.

Da dove arriva la vecchia crisi? Alla fine dell’estate 2007 scoppia come crisi finanziaria ma nel giro di un anno passa, come un virus, all’economia reale: la produzione precipita e la disoccupazione, ovviamente, aumenta. Nel corso del 2009 la crisi inizia a colpire la politica e la stabilità sociale; si paventano le prime difficoltà dei bilanci pubblici ed esplodono le prime proteste di piazza: è crescente la difficoltà di governare, accentuata dal declino del sistema bipartitico, che aumenta le difficoltà di attuazione di qualsiasi politica economica. A proteggere dal collasso il Pil mondiale di quell’anno sono i paesi emergenti, che accusano un rallentamento ma non cedono: recenti elaborazioni dell’IMF World Economic Outlook (settembre 2011) confermano come la crisi e l’impatto sul Pil sia fondamentalmente un problema “occidentale”, con eccezioni positive (Austria, Svezia, Polonia) ma soprattutto con performance brillanti dei cosiddetti “BRICS” (la Russia in tono minore fra questi) e altri paesi emergenti (si v. grafici 1 e 2).

Il mondo pensa di uscirne con un vecchio sistema. Il Paese leader, gli Stati Uniti, devono di fatto stampare moneta per colmare il buco dei capitali finanziari distrutti dalle cadute di Borsa e dai fallimenti e quasi-fallimenti delle banche. La cura viene decisa nel G-20 di Londra (1-2 aprile 2009). Si arriva così alla primavera-estate del 2010, in cui si crede (o si spera) in una ripresa. Ma ci sarà solo una “ripresina” e in alcuni casi, tra cui quello italiano, solo un “rimbalzo” (grafico 2), che non elimina né tensioni politiche né malcontento popolare più generalizzato.