«Nella storia degli uomini vi sono date conosciute ovunque nel mondo: tra queste, il 2012. Tutti sanno che in quell’anno l’Europa, che allora era la regione più ricca del globo, precipitò nella povertà, con conseguenze tali che al crollo venne dato – in seguito e a torto – il nome di Primo Crash Mondiale. Un avvenimento di quella portata non poteva essere stato frutto del caso e poiché colpì centinaia di milioni di esseri umani, si decise che si era trattato di una conclusione inevitabile.
Il Grande Crash poteva essere evitato modificando, così, radicalmente la storia del XXI secolo? Domande di questo tipo sono assurde o perlomeno antistoriche, dal momento che esso è avvenuto, e il dovere dello storico consiste nel tentare di analizzare ciò che è stato.
Eppure, il Primo Crash Mondiale rappresenta un problema reale, dal momento che esso è uno dei soggetti storici su cui sono stati scritti più libri. La discussione dura da novant’anni: in tutti i paesi, i più grandi specialisti di storia economica (e anche di altre discipline) continuano a interrogarsi, innanzitutto, sulle responsabilità del crash del 2012, poi sulle cause che l’hanno determinato. Ci limitiamo a citare Jean-Baptiste Dupont e François Levy: alla fine della loro vita, il Grande Crash rimaneva ancora qualcosa di “incomprensibile” per il primo e di “enigmatico” per il secondo. L’uno e l’altro non alludevano soltanto alle cause scatenanti del crash, ma al crash nella sua interezza e in particolare all’accanimento con cui ciascuno fino alla fine sostenne le proprie posizioni e all’ostinazione dimostrata dai governi e dalle classi dirigenti europee nel distruggersi a vicenda. Nondimeno, la spiegazione di ogni crisi economica si trova molto spesso nel momento in cui essa scoppia. Tale momento è diventato così importante da giustificare la domanda: sarebbe stato possibile evitare che il crash avesse luogo, perlomeno in quel periodo, e cosa sarebbe successo in quel caso? Per molto tempo si è studiata la concatenazione di fatti che hanno portato al crash per concludere che una volta avviato l’ingranaggio non era più possibile arrestarlo, e che l’intera Europa fu travolta per un semplice effetto meccanico.
A dire il vero, l’ingranaggio era già stato messo in moto in altre occasioni, ma fino ad allora erano state trovate soluzioni pacifiche per fermarlo. Inoltre, rifugiarsi dietro una spiegazione meccanica non significa forse accettare una visione deterministica della storia? Siamo sicuri di esserci davvero domandati se non ci siano stati momenti in cui il meccanismo poteva essere fermato? Non si è forse messo troppo l’accento sulla fatalità e sul destino e non abbastanza su ognuno di quegli istanti in cui la volontà di un uomo o di un gruppo di uomini avrebbe potuto far muovere il meccanismo in senso inverso? In ogni caso, se la forza del destino si è esercitata sempre in un’unica direzione, ci deve essere una spiegazione. Siamo in grado di trovarla presso gli uomini presi uno a uno e i popoli considerati nel loro insieme? Forse la chiave dell’enigma, dell’incomprensibile, è proprio qui, ed è qui che bisogna cercarla.
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