Gli scioperi e le manifestazioni delle ultime settimane hanno riportato al centro dell'attenzione l'operato del presidente francese Emmanuel Macron, eletto poco più di un anno fa

Gli scioperi e le manifestazioni delle ultime settimane hanno riportato al centro dell'attenzione l'operato del presidente francese Emmanuel Macron, eletto poco più di un anno fa (Figura 1) e impegnato a fronteggiare numerose difficoltà politiche, economiche, sociali e internazionali.

Il fronte interno
In patria Macron deve vedersela con la potente Confédération Générale du Travail (CGT), uno dei più importanti sindacati francesi, che dall'inizio di aprile 2018 ha indetto una serie di agitazioni sindacali, creando forti disagi nel settore dei trasporti. Particolarmente critica la situazione nel settore ferroviario, a causa della massiccia adesione dei macchinisti della SNCF (la società ferroviaria francese di proprietà pubblica) agli scioperi e alle manifestazioni indette dalla CGT per protestare contro le proposte di riforma presentate dal primo ministro Edouard Philippe.
I sindacati lamentano l'assenza della garanzia del posto fisso per i nuovi assunti e lo stop ai prepensionamenti, ma soprattutto temono che la proposta di trasformare l'azienda in una S.p.A sia solo il primo passo verso la privatizzazione. L'azienda, peraltro, ha un debito che supera i 45 miliardi di Euro e continua a perdere circa 3 miliardi di Euro ogni anno. I lavoratori chiedono che sia lo Stato ad assorbire il debito dell'azienda ma per Macron ciò significherebbe smentire il nuovo corso annunciato in campagna elettorale. Una situazione dunque non facile da gestire per il giovane Presidente che si sta spendendo personalmente per difendere la riforma di fronte ad un'opinione pubblica che, stando agli ultimi sondaggi, risulta molto divisa: la maggioranza dei francesi sostiene le riforme, l'elettorato progressista sostiene invece le rivendicazioni dei ferrovieri.

La strategia di Macron punta sul fatto che gli inevitabili disagi causati dagli scioperi possano alla lunga far crollare il sostegno ai manifestanti, ma per ora i macchinisti non hanno nessuna intenzione di cedere, avendo proclamato una serie di scioperi a singhiozzo destinata a durare fino alla fine di giugno.
In questo contesto rovente, i ferrovieri non sono gli unici a protestare: a loro si uniscono i dipendenti di Air France, i netturbini e i lavoratori del settore energetico, senza dimenticare le agitazioni degli studenti contro la riforma dell'accesso alle facoltà universitarie, proprio mentre si celebra il cinquantesimo anniversario del maggio 1968. Le proteste degli studenti fanno riferimento alla modifica del meccanismo di accesso alle facoltà universitarie più richieste: attualmente si ricorre al sorteggio, mentre il Governo vorrebbe introdurre un processo di selezione basato sul merito. Si tratta di uno scontro che testimonia le difficoltà di introdurre principi di meritocrazia e competitività in una società come quella francese, fortemente legata al valore dell'egualitarismo.

E dire che Macron nel corso dei suoi primi mesi di operato era riuscito a far passare con sorprendente facilità la riforma del mercato del lavoro, grazie anche alla concertazione con i sindacati. L’attuazione di questa riforma rende più facile per le aziende assumere e licenziare i lavoratori (Figura 2), riduce l'entità dei risarcimenti per i licenziamenti senza giusta causa e rende più semplice negoziare le condizioni di lavoro direttamente a livello aziendale. Oltre a tale riforma, ha voluto tenere fede alle promesse fatte in campagna elettorale, varando una serie di misure per incentivare i lavoratori del settore pubblico a lasciare il posto di lavoro, nel tentativo di ridurre il numero di dipendenti pubblici.
Problemi notevoli sta incontrando anche la proposta di riforma delle istituzioni presentata in Parlamento dal primo ministro Edouard Philippe, accolta con freddezza sia dai partiti di opposizione sia dall'alleato centrista Francois Bayrou. La riforma prevede una riduzione del numero dei deputati da 577 a 404 e dei senatori da 348 a 244, con una diminuzione complessiva del 30% del numero dei parlamentari in ottica di contenimento dei costi della politica. Viene suggerita inoltre l'introduzione di una quota del 15% di parlamentari da eleggere col sistema proporzionale, proposta che scontenta sia i partiti di centro-destra, più forti nelle zone rurali meno densamente abitate, che si vedrebbero penalizzati dal nuovo sistema elettorale, sia il leader centrista Bayrou, che invece vorrebbe che la quota di eletti col proporzionale aumentasse sino al 25%. Anche la riduzione del numero dei parlamentari viene bollata come misura populista dalle opposizioni, che sottolineano come la Francia si ritroverebbe con il numero più alto di abitanti per deputato fra tutti i paesi europei. La riforma prevede inoltre un massimo di due mandati per ogni funzionario pubblico eletto, ma i partiti di centro-destra, forti della maggioranza in Senato, sono riusciti ad ottenere che la norma non si applichi ai sindaci dei comuni con meno di 9000 abitanti.
Particolarmente controverse sono poi le proposte che vorrebbero porre dei limiti alla possibilità di presentare emendamenti in Parlamento, eliminare una serie di vincoli all'attività di decretazione da parte del governo e introdurre la sfiducia costruttiva, rendendo di fatto più semplice la vita all'esecutivo. La riforma, che nelle intenzioni di Macron dovrebbe entrare in vigore l'anno prossimo, ha suscitato accuse di neo-bonapartismo nei confronti del Presidente e rischia seriamente di essere annacquata in Parlamento: in questo caso, Macron potrebbe ricorrere come ultima risorsa ad un referendum, ma i rischi politici sarebbero elevatissimi e sembra difficile che il Presidente possa cercare lo scontro frontale su un campo, quello dei costi della politica, dal valore prevalentemente simbolico.

Le difficoltà in ambito internazionale
Il percorso pare accidentato anche per quanto riguarda i propositi di rilancio dell'Unione Europea, arenati a seguito delle elezioni tedesche del settembre 2017, che hanno portato a sei mesi di trattative prima della formazione di un nuovo governo a Berlino. Nel frattempo, l'affermazione di movimenti euroscettici nelle elezioni politiche in Austria ed Ungheria e la totale incertezza del quadro politico italiano hanno reso più difficile la strada dei progetti del Presidente, che già si scontravano con l'opposizione dei paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria).
La Grosse Koalition, che ha portato finalmente alla luce un nuovo governo a guida Merkel, pareva una buona notizia per Macron, con i socialdemocratici della SPD pronti almeno a parole a sostenerne i progetti: abbandono dell'austerità, creazione di un ministro delle Finanze europeo, tassazione dei giganti del Web, politica comune sui migrantie forza di difesa comune. Purtroppo i cristiano-democratici della CDU sembrano invece vedere come fumo negli occhi queste proposte, inducendo la cancelliera Merkel a tergiversare. L'asse franco-tedesco non pare quindi in grado di tirarsi dietro il resto dei paesi dell'Unione, tanto più che le riforme caldeggiate dall'Eliseo richiederebbero ulteriori cessioni di sovranità da parte degli Stati membri.
Non va dimenticato il protagonismo di Macron in particolare nella crisi siriana, in cui il Presidente ha dimostrato tutto il suo desiderio di riportare la Francia al centro della scena politica internazionale: tra mille polemiche, è stato il primo leader mondiale a sostenere Trump nel suo proposito di intervento militare in Siria, contattando contemporaneamente anche il presidente russo Putin, prima dell'attacco, per evitare il rischio di una pericolosa escalation del conflitto. Macron ha ribadito che la Francia dovrà avere un ruolo importante nella ricostruzione della Siria, svelando quindi una delle principali motivazioni che l'hanno spinto a sostenere l'azione militare contro il regime di Assad (Figura 3 e Figura 4).
In un’ ottica di rilancio dell'immagine della Francia nel mondo si può interpretare il recupero della Francophonie (l'organizzazione internazionale che si occupa della promozione del ruolo della lingua francese nel mondo), mossa volta ad aumentare l'influenza politica francese in un continente come l’Africa, in espansione dal punto di vista demografico. Anche in questo caso non sono mancate polemiche e inevitabili accuse di neo-colonialismo (Figura 5).
Anche la gestione del tema immigrazione non è stata brillante: se da un lato Macron ha speso parole di apprezzamento per l'impegno di Italia e Grecia in tema di accoglienza ai migranti, dall'altro la politica dei respingimenti si è fatta più intransigente ed è divenuta più evidente la chiusura nei confronti dei cosiddetti migranti economici. Il blitz di Bardonecchia ad aprile 2018, nel corso del quale cinque agenti doganali francesi hanno fatto irruzione in un locale in territorio italiano utilizzato a scopi umanitari dalla ONG Rainbow4Africa, non è stato certamente apprezzato dal Governo italiano ed ha innescato un caso diplomatico inaspettato che ha visto anche l’apertura di una inchiesta da parte della Procura di Torino.

Il bilancio dopo un anno
Nonostante le recenti difficoltà, i primi mesi di presidenza sono stati comunque caratterizzati da una serie di importanti risultati da un punto di vista economico: sono state varate importanti misure nel tentativo di ridurre la spesa pubblica e riportare il deficit al di sotto del limite del 3% imposto dai trattati europei; è stato operato un taglio alla tassazione dei redditi d'impresa, passata dal 33% al 28% per stimolare la crescita economica; sono stati aumentati i finanziamenti alla ricerca e ai settori legati all'innovazione; è stata ridotta l'imposta sugli immobili per l'80% delle famiglie. Più controversa invece la misura relativa all'imposta patrimoniale che colpiva i patrimoni che superavano gli 1.3 milioni di Euro, sostituita con una tassa che colpirà solo gli immobili escludendo quindi gli investimenti finanziari: in molti in Francia, incluso l’ex presidente socialista Hollande, hanno fatto notare come si sia trattato di un provvedimento decisamente a favore dei più ricchi. Anche il tasso d’inflazione, cresciuto negli ultimi mesi, non è da considerarsi un segnale positivo (Figura 6)
Tuttavia, nonostante i buoni risultati in campo economico con la crescita del PIL e, in parte, degli investimenti esteri (Figura 7 e Figura 8) e la riduzione del deficit, l'opinione pubblica rimane piuttosto tiepida: la classe dirigente selezionata da Macron appare distante e tecnocratica e l'atteggiamento di Macron nei confronti della stampa non aiuta, considerando l’utilizzo dei media fatto a proprio uso e consumo, che evita un confronto diretto con i giornalisti.
Particolarmente deluso l’elettorato socialista che rimprovera Macron di implementare un'azione politica lontana da quella della sua tradizione. Ma del resto la sua vittoria in patria non era stata accolta con grande entusiasmo negli ambienti progressisti, i quali temevano che i propositi del nuovo Presidente di rinnovare l'economia e la società francese potessero passare attraverso una riduzione dei diritti dei lavoratori e del sistema del welfare in generale. In questo senso, Macron ha sempre dichiarato di non essere né di sinistra né di destra.

Ad ogni modo, in patria Macron è forte di un'ampia maggioranza nell'Assemblea nazionale e sembra poter reggere l'urto degli scioperi e poter proseguire nell'attuazione del suo programma di riforme in campo economico, almeno fino alla scadenza del suo mandato presidenziale nel 2022.
Discorso diverso per quanto riguarda l’azione in politica estera: se la sua elezione aveva suscitato grandi aspettative al di fuori dai confini francesi, considerata come il possibile segno di un'inversione di tendenza rispetto all'avanzare delle forze contrarie alla globalizzazione, le ambizioni di Macron in politica estera si sono scontrate con un contesto profondamente sfavorevole soprattutto nel Vecchio continente e il percorso europeista di Macron ha subìto una forte battuta d’arresto.
Per quanto riguarda invece lo scenario globale, le difficoltà della Merkel e le titubanze di Theresa May hanno consentito a Macron di ricavarsi un ruolo da interlocutore privilegiato dell'amministrazione Trump, suggellato anche dal suo viaggio negli Stati Uniti, ma si è trattato di una mossa ad altissimo rischio sulla quale il Presidente francese dovrà destreggiarsi con enorme equilibrio per non alienarsi ulteriori simpatie sia in patria che all’interno dell’Unione Europea.
Proprio su questo punto, una riflessione ulteriore merita il comportamento di Macron, giudicato ambiguo da molti analisti e osservatori: se da un lato il Presidente francese intende rilanciare il sogno europeo, rivendicando la propria leadership a difesa del continente proprio in un contesto in cui l’Europa è attraversata da una serie di complessità (la Brexit, una complicata situazione politica in Germania, l’assenza di un Governo in Italia, la questione catalana in Spagna, i populismi dell’Europa dell’Est), dall’altro alcune scelte di Parigi (dall’appoggio a Trump in Siria alla questione migranti, fino ai casi Fincantieri e Vivendi) mostrano come il mito della grandeur (e la difesa dei propri interessi nazionali) rappresenti un sogno non ancora sopito nella mente del giovane Presidente.