L’ormai consolidata implementazione dell’assegno unico universale (avviata da aprile 2022) ha portato una rinnovata attenzione al ruolo della famiglia nella fiscalità generale e nei modelli di welfare, dando nuova energia a un dibattito che sembrava da anni fermo e consolidato.

Da una parte ha ritrovato voce ed argomenti chi ritiene che sia necessario fare molto di più a favore della famiglia, dando molta più attenzione (sostegno economico) ai differenti carichi familiari (figli, ma anche persone disabili o genitori anziani), fino a rivendicare la “soggettività fiscale” della famiglia. 

Dall’altra, sono riapparse alcune obiezioni “tradizionali”, secondo cui le politiche economiche e fiscali di sostegno alla famiglia devono restare marginali, perché di fatto generano un sostegno maggiore ai redditi medi e alti, anziché concentrarsi sulle fasce più povere, e inoltre penalizzano le donne e la loro presenza sul mercato del lavoro. I termini della discussione sono molto ampi e complessi, e si collegano anche a diversi modelli micro e macroeconomici di analisi della società, oltre che implicare riflessioni giuridiche di grande complessità. Qualche riflessione si può proporre in merito, senza alcuna pretesa di esaurire l’argomento.

La Corte Costituzionale

In primo luogo  importante ricordare che sulle politiche fiscali a base individuale o familiare la Corte Costituzionale si è espressa con grande frequenza, a partire dagli anni Settanta, quando decretò l’illegittimità del cosiddetto “cumulo fiscale” dei redditi dei vari membri del nucleo (Decreto n. 179/1976),  ribadendo che il sistema di imposizione fiscale dovesse essere “a base individuale” – e così è rimasto fino ad oggi. Peccato però che la stessa sentenza si concludesse con l’auspicio, indirizzato al legislatore, «che sulla base delle dichiarazioni dei propri redditi fatte dai coniugi, ed in un sistema ordinato sulla tassazione separata dei rispettivi redditi complessivi, possa essere data ai coniugi la facoltà di optare per un differente sistema di tassazione (espresso in un solo senso o articolato in più modi) che agevoli la formazione e lo sviluppo della famiglia e consideri la posizione della donna casalinga e lavoratrice».

Questo auspicio per lunghissimi anni è rimasto lettera morta. E tuttora interventi normativi che realizzino una “tassazione che agevoli la formazione e o sviluppo della famiglia” appaiono ben lontani dalle priorità dell’agenda politica del Paese – anche nello stesso dibattito sulla riforma fiscale in corso in queste settimane, dove la dimensione familiare dei cambiamenti appare solo timidamente riaffermata (si parla di introdurre una qualche forma di quoziente familiare, ma non è chiaro con quale incisività), ma non pare che sia questo il reale punto di svolta dei cambiamenti ipotizzati in ambito fiscale.

Policies e reddito di cittadinanza

In secondo luogo, dal punto di vista dei concreti effetti delle policies, l’idea che le politiche fiscali familiari siano scarsamente redistributive e non siano capaci di proteggere dalla povertà è solo apparentemente fondata, e scarsamente basata su dati di realtà. Al di là di analitiche e sofisticate analisi statistiche e proiezioni su scaglioni, progressività, quozienti familiari variamente intesi, forse si dovrebbe considerare con maggiore attenzione il modo in cui ha funzionato il reddito di cittadinanza (RdC), una concreta misura di contrasto alla povertà economica in cui la dimensione familiare è stata considerata solo marginalmente.

In sostanza, dopo quasi quattro anni di implementazione del RdC  (dal 1 aprile 2019), è emerso che i principali destinatari erano persone sole o coppie, mentre proprio le famiglie più numerose sono rimaste percentualmente escluse, molto più di altre categorie. Così, la misura non è stato in grado di contrastare efficacemente la povertà minorile, e l’aumento di minori che vivono in nuclei sotto la soglia di povertà è stato generato proprio dalla scarsa sensibilità del RdC ai carichi familiari.

All’opposto, l’introduzione di sostegni fiscali più generosi per le famiglie (il quoziente familiare, o un assegno unico davvero consistente, e meno dipendente dai redditi) avrebbe sicuramente protetto molte famiglie numerose, impedendo alle stesse di finire sotto la soglia di povertà, o obbligandole così a chiedere il RdC – che poi magari non arrivava. Insomma, un fisco a misura di famiglia ben progettato saprebbe “prevenire” la povertà delle famiglie con figli, alleggerendo anche il costo delle stesse misure di contrasto alla povertà, che potrebbero concentrarsi quindi su platee meno numerose, con maggiore efficacia.  

Né si può sostenere, peraltro, che l’assegno unico oggi presente risolva tutto, sia perché anche questo strumento è troppo “avaro” nei confronti dei carichi familiari (l’ISEE va sicuramente rivisti in termini meno penalizzanti), sia perché la sua diminuzione in funzione dell’ISEE è troppo rapida, e quindi penalizzante per le famiglie.

Per capirci con un numero: in Germania l’assegno vale 219 Euro al mese, per tutti (davvero universale!), senza alcuna diminuzione secondo il reddito; in Italia valeva mediamente 175 Euro, e diminuiva rapidamente al crescere del reddito (misurato con l’ISEE), a parte alcune condizioni di maggior protezione, che incrementano il sostegno (disabilità, famiglie numerose, famiglie a doppia carriera, per il primo anno di vita).

Il caso francese

In terzo luogo, le misure fiscali più diffuse (soprattutto il quoziente familiare) sono spesso accusate di penalizzare l’occupazione femminile, accentuando quel welfare familiare (o familista) che caratterizza il nostro Paese (e anche altre nazioni, soprattutto nell’Europa meridionale). Anche in questo caso la letteratura è ampia ed approfondita, e l’obiezione ha qualche fondamento.

Però forse sarebbe il caso, per una volta, di domandarsi come mai la patria del quoziente familiare, la Francia, abbia anche una partecipazione femminile al mercato del lavoro assolutamente superiore a quella del nostro Paese, a smentire la correlazione assoluta, troppo spesso data come inevitabile: quoziente familiare = donne a casa. Non è affatto così, per diversi motivi. In primo luogo perché alleggerire il carico fiscale di una famiglia all’arrivo dei figli significa soprattutto liberare la capacità di scelta dei coniugi, non costringerli al modello single bread winner (uomo al lavoro, donna a casa). Magari entrambi potranno lavorare un po’ meno, avendo qualche risorsa economica in più.

Inoltre – e questo è ancora più importante – la Francia fin dall’inizio (sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale) insieme al quoziente familiare ha costruito un intero sistema di welfare familiare a sostegno delle nuove generazioni (un vero e proprio “progetto natalità”, in effetti), investendo in esso e migliorandolo per interi decenni, senza mai rimetterlo in discussione. Così asili nido gratuito, così indennità per i servizi di cura, così politiche di conciliazione famiglia-lavoro: insomma: la politica fiscale forte e strategica del quoziente familiare per la Francia è stato solo un tassello – seppure importante – di un piano organico di welfare che vedeva la famiglia – non gli individui – al centro, con un esplicito e consapevole obiettivo di sostegno al ricambio generazionale. Il che spiega anche perché, oggi, la Francia è tornata ad avere un tasso di natalità che sfiora i due figli per donna in età fertile, mentre in Italia continuiamo a diminuire, ondeggiando attorno all’1,25 figli per donna. In breve: non è la fiscalità a misura di famiglia che spingerebbe le donne a non lavorare, ma è vero piuttosto il contrario; purché anche la fiscalità, per quanto generosa, sia all’interno di una “priorità famiglia” nell’agenda di un Paese.

Ecco, in sintesi, cosa potremmo segnalare in conclusione: a fronte del PNRR e della quantità di risorse economiche disponibili per le politiche pubbliche,  in una circostanza così favorevole per ridisegnare le priorità del sistema Italia, occorre valutare con attenzione se e quanto vogliamo investire nella risorsa famiglia e nella risorsa natalità.

Ne va del futuro stesso della nazione, e del modello di sviluppo economico e sociale che sapremo e potremo attuare.