Non è solo Roberto Mancini a voler andare nei Paesi arabi. In lista ci sono anche oltre 500 professionisti della sanità che si sono dichiarati disponibili negli ultimi tre mesi a lasciare l’Italia, da soli o con le famiglie, per prestare servizio nei Paesi arabi – secondo l'Associazione dei medici di origine straniera in Italia (Amsi) e l'Unione medica euro mediterranea (Umem) - in vista di un’esperienza lavorativa, culturale e di vita grazie anche a stipendi che raggiungono i 20mila dollari al mese e benefit decisamente allettanti rispetto a quanto offerto dal nostro Ssn. E tutto questo mentre la spesa sanitaria italiana – ora al 6,8% del Pil, ampiamente sotto la media Ue e Ocse - scende a livelli preoccupanti e tali, secondo l’ultimo rapporto Gimbe, da mettere in pericolo il concetto stesso di servizio sanitario nazionale universalistico. Dall'altra parte, c'è il crescente fabbisogno di cura dei Paesi del Golfo, in cui la popolazione aumenta e sta vivendo un fisiologico processo di invecchiamento e dove, soprattutto, si è scelto di investire circa il 10% del Pil in sanità. In Arabia Saudita già il 90% dei sanitari sono di origine straniera e oggi anche i nostri medici, mentre l'Italia apre ai professionisti in arrivo da Cuba, guardano al Medio Oriente.  In particolare, hanno iniziato a programmare un lavoro nei Paesi del Golfo 250 medici specialisti, 150 infermieri e 100 medici generici, fisioterapisti, farmacisti, podologi e dietisti. I Paesi più richiesti sono Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar e Bahrein che attraggono sia medici già in pensione sia giovani che vogliono trasferirsi anche con la famiglia.

Sanità sottofinanziata

In Italia, invece, l’imponente sotto-finanziamento, la progressiva carenza di personale sanitario, modelli organizzativi obsoleti e l’inevitabile avanzata del privato hanno determinato la progressiva erosione del diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare nelle regioni del Sud, con infinite liste di attesa, affollamento dei pronto soccorsi, aumento della spesa privata, diseguaglianze di accesso alle prestazioni, inaccessibilità alle innovazioni, migrazione sanitaria, rinuncia alle cure.

In questo contesto, il tema del finanziamento pubblico per la sanità infiamma da mesi il dibattito politico, vista l’enorme difficoltà delle Regioni a garantire un’adeguata qualità dei servizi, la mancata erogazione da parte del Governo dei “ristori Covid” e, più in generale l’assenza del tema “sanità” dall’agenda dell’Esecutivo. Per tale ragione, spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, vista l’imminente Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (Nadef) e in piena discussione sulla Legge di Bilancio 2024, «la Fondazione Gimbe ha analizzato la spesa sanitaria pubblica nei Paesi dell’Ocse per fornire dati oggettivi utili al confronto politico e al dibattito pubblico ed evitare ogni forma di strumentalizzazione». La fonte utilizzata è il database Oecd Stat, aggiornato al 3 luglio 2023 con dati 2022 (o anno più recente disponibile) dei paesi dell’area Ocse: spesa sanitaria pubblica, sia in percentuale del Pil, che in dollari pro-capite a prezzi correnti e parità di potere d’acquisto. La spesa sanitaria pubblica del nostro Paese nel 2022 si attesta al 6,8% del Pil, sotto di 0,3 punti percentuali sia rispetto alla media Ocse ed europea del 7,1%.

Nino Cartabellotta, gastroenterologo e presidente della Fondazione Gimbe

La Germania non guarda a spese

Sono 13 i Paesi dell’Europa che in percentuale del Pil investono più dell’Italia, con un gap che va dal 4,1% della Germania (10,9% del Pil) allo 0,3% dell’Islanda (7,1% del Pil). In Italia, anche la spesa sanitaria pubblica pro-capite nel 2022, pari a 3.255 dollari, rimane al di sotto sia della media Ocse (3.899 dollari) con una differenza di 644 dollari, sia della media dei Paesi europei (4.128) con una differenza di 873 dollari. E in Europa sono ben 15 Paesi a investire più di noi in sanità, con un differenziale che va dai 583 dollari della Repubblica Ceca (3.838) ai 3.675 dollari in più della Germania (6.930). Il divario con i Paesi europei si è ampliato progressivamente dal 2010, a seguito di tagli e minor finanziamento pubblico, sino a raggiungere i 590 dollari nel 2019; poi si è ulteriormente esteso negli anni della pandemia quando, a fronte di un netto incremento della spesa sanitaria in Italia, gli altri paesi europei hanno comunque investito più di noi. «Tradotta in euro – precisa Cartabellotta – il gap con la media dei Paesi europei dell’area Ocse oggi ammonta ad oltre 808 euro pro-capite che, tenendo conto di una popolazione residente di oltre 58,8 milioni di abitanti, si traduce in oltre 47,6 miliardi di minor spesa rispetto alla media europea».

Italia fanalino di coda del G7

Molto negativo, se guardiamo al trend della spesa pubblica 2008-2022, il confronto con gli altri stati. Innanzitutto, negli altri Paesi del G7 (ad esclusione del Regno Unito) la crisi finanziaria del 2008 non ha minimamente scalfito la spesa pubblica pro-capite per la sanità che dopo il 2008 o è stato costante o si è innalzato. In Italia, invece, il trend si è sostanzialmente appiattito dal 2008, lasciando il nostro Paese sempre in ultima posizione. Tra l’altro, l’Italia tra i Paesi del G7 è stata sempre in fondo alla classifica per spesa pubblica pro-capite: ma se nel 2008 le differenze con gli altri paesi erano modeste, con il costante e progressivo definanziamento pubblico degli ultimi 15 anni sono ormai divenute difficilmente colmabili. Infatti, nel 2008 tutti i Paesi del G7 destinavano alla spesa pubblica pro-capite una cifra compresa tra i 2.000 e i 3.500 e il nostro Paese era fanalino di coda insieme al Giappone; nel 2022 mentre l’Italia rimane ultima con una spesa pro-capite di 3.255 dollari, la Germania l’ha più che raddoppiata sfiorando i 7.000 dollari. Per non dire che dopo l’emergenza Covid-19 il gap con gli altri paesi europei del G7 continua a crescere: infatti, nel nostro Paese la spesa sanitaria pubblica nel 2022, rispetto al 2019, è aumentata di 625 dollari a testa, quasi la metà di quella francese (1.197) e 2,5 volte in meno di quella tedesca (1.540).

Una rotta da invertire in fretta

«I confronti internazionali sulla spesa sanitaria pubblica pro-capite relativi al 2022 – conclude Cartabellotta – confermano che l’Italia in Europa precede solo i paesi dell’Est (Repubblica Ceca esclusa), Portogallo e Grecia. E tra i Paesi del G7, di cui nel 2024 avremo la presidenza, siamo fanalino di coda con gap ormai incolmabili, frutto della miopia della politica degli ultimi 20 anni che ha tagliato e/o non investito in sanità ignorando – a differenza di altri paesi – che il grado di salute e benessere della popolazione condizionano la crescita del Pil. Ovvero che la sanità pubblica è una priorità su cui investire continuamente e non un costo da tagliare ripetutamente. Ecco perché il nostro Paese ha urgente bisogno di invertire la rotta, con segnali già visibili nella Nadef 2023 e, soprattutto, nella prossima legge di Bilancio. Altrimenti sarà l’addio al diritto costituzionale alla tutela della salute».