1. A chi si rivolge il Discorso sullo Stato dell’Unione? Il Presidente nomina i suoi interlocutori a uno a uno prima di inziare. “Mr. Speaker, Mr. Vice President, members of Congress, distinguished guests, and fellow Americans”. Uno dei momenti salienti del discorso tenuto quest’anno dal presidente Obama riguarda proprio lo scarto che esiste fra i membri del suo uditorio e, in particolare, lo scarto fra il popolo americano ed i suoi rappresentanti politici. Ad un certo punto, il Presidente cessa di parlare all’uditorio nella sua interezza e si rivolge direttamente al Congresso.
Per capire la portata di questo riorientamento del discorso occorre aver seguito con attenzione quanto detto fino a quel punto. Se si perde lo scarto, si rischia di perdere il punto politico dell’intero discorso.
2. Prima di rivolgersi direttamente al Congresso riunito in seduta planaria (allargata ai membri della Corte Suprema, allo stato maggiore delle forze armate e alle altre supreme cariche dello Stato e ai loro ospiti), Obama aveva tratteggiato quello che secondo lui occorre fare per dar corpo al titolo del discorso di quest’anno, “An America built to last,” un’America fatta per durare.
Il programma è condensato nel verbo to build, fare, ma più propriamente, costruire. Per durare l’America deve - mi si scusi la tautologia - costruire una economia durevole. Ed in fatti, durante il discorso, Obama talvolta dice “an America built to last”, talvolta dice “an economy built to last”. America ed economia si sovrappongono. Se l’una è durevole lo sarà anche l’altra.
Ma come realizzare una economia solida, capace di durare? Prima di tutto occorre ripianare sia il debito pubblico che i debiti delle famiglie americane. Poi occorre riportare in patria i posti di lavoro che le aziende americane hanno spedito all’estero.
Quel l’uso del verbo to build vuole quindi essere sintomatico di un ritorno al manifatturiero, ritorno che avviene dopo decenni di terziarizzazione avanzata e di disincentivi alla produzione industriale. Il programma di Obama è dunque quello di ripianare il debito e riportare a casa il lavoro manifatturiero outsourced a paesi terzi.
3. Come intende realizzare questo ambizioso programma Obama? Attraverso una complessa architettura di misure che hanno come centro il fisco.
Ricordiamo, gli americani pagano le tasse. La rivoluzione americana avvenne per questioni di imposte; le tasse troppo alte degli anni Settanta portarono alla rivoluzione reaganiana. Finora, le aziende che portavano le manifatture all’estero godevano di agevolazioni fiscali. Obama dichiara di volere togliere ogni incentivo all’esodo delle manifatture inserendo nel codice l’esatto contrario. Chi riporterà posti di lavoro negli Stati Uniti godrà di ogni agevolazione fiscale. Chi riporterà posti di lavoro nelle alte tecnologie otterrà il doppio degli incentivi. E chi dimorerà questi nuovi posti di lavoro nelle aree più colpite dalla disoccupazione verrà ulteriormente agevolato.
Come dire, se gli eredi di Steve Jobs riporteranno a casa la produzione dei dispositivi Apple (“Designed in California” ma “made in China”) e occuperanno gli operai americani attualmente disoccupati localizzate certe aree geografiche del Paese, realizzeranno guadagni e metterebbero le loro merci al riparo dai dazi o altre misure punitive.
È a questo punto che il cambio di interlocutore è fondamentale. Per realizzare la sua vision Obama ha bisogno che il Congresso legiferi. Il Presidente da solo non può cambiare il fisco ed elevare dazi. L’esecutivo farà la sua parte, ma senza l’appoggio del legislativo non si farà nulla.
Ed è a questo punto che il Presidente si rivolge specificatamente al Congresso puntando l’indice. Nulla di quanto prospettato si farà se il Congresso non riuscirà a lavorare in team, come ad esempio sanno fare le forze armate, che Obama cita a modello.
4. Pertanto, viste le insanabili divergenze che dividono il Congresso e l’anno elettorale che sta per iniziare, delle misure prospettate dal discorso “Sullo Stato dell’Unione” rimarrà ben poco, se non forse il linguaggio veemente con cui Obama ha attaccato le élite e le lobby.
È un po’ triste constatare come in questo discorso Obama prima faccia balenare di fronte agli occhi degli americani un mondo solido fatto di cose durevoli per poi farlo ingoiare in un istante dallo scarto fra il popolo sovrano e i suoi rappresentanti. Ma è proprio sull’orlo di quel baratro che Obama si trova a dover iniziare la propria campagna per la rielezione. Quindi è un discorso alla fine molto onesto, oltre che furbo.
In perfetto stile Obama.
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