Quel l’uso del verbo to build vuole quindi essere sintomatico di un ritorno al manifatturiero, ritorno che avviene dopo decenni di terziarizzazione avanzata e di disincentivi alla produzione industriale. Il programma di Obama è dunque quello di ripianare il debito e riportare a casa il lavoro manifatturiero outsourced a paesi terzi.

3. Come intende realizzare questo ambizioso programma Obama? Attraverso una complessa architettura di misure che hanno come centro il fisco.

Ricordiamo, gli americani pagano le tasse. La rivoluzione americana avvenne per questioni di imposte; le tasse troppo alte degli anni Settanta portarono alla rivoluzione reaganiana. Finora, le aziende che portavano le manifatture all’estero godevano di agevolazioni fiscali. Obama dichiara di volere togliere ogni incentivo all’esodo delle manifatture inserendo nel codice l’esatto contrario. Chi riporterà posti di lavoro negli Stati Uniti godrà di ogni agevolazione fiscale. Chi riporterà posti di lavoro nelle alte tecnologie otterrà il doppio degli incentivi. E chi dimorerà questi nuovi posti di lavoro nelle aree più colpite dalla disoccupazione verrà ulteriormente agevolato.

Come dire, se gli eredi di Steve Jobs riporteranno a casa la produzione dei dispositivi Apple (“Designed in California” ma “made in China”) e occuperanno gli operai americani attualmente disoccupati localizzate certe aree geografiche del Paese, realizzeranno guadagni e metterebbero le loro merci al riparo dai dazi o altre misure punitive.

È a questo punto che il cambio di interlocutore è fondamentale. Per realizzare la sua vision Obama ha bisogno che il Congresso legiferi. Il Presidente da solo non può cambiare il fisco ed elevare dazi. L’esecutivo farà la sua parte, ma senza l’appoggio del legislativo non si farà nulla.